Il perchè della falsa rappresentazione della  guerra nella cultura del Dominio.

Una guerra è sicuramente un avvenimento che scuote le società, le modifica in qualche modo, determina cambiamenti interni, ridefinisce gli equilibri e gli assetti comunitari. In breve, una guerra non è mai qualcosa che passa inosservata, si tratta di un avvenimento di una rilevanza capitale.

La propaganda del regime statale porta in ogni meandro della società la convinzione secondo cui prima dell’invenzione degli ordinamenti gerarchici e istituzionali, l’umanità sarebbe stata in perenne conflitto con se stessa, densa di guerre costanti per la sopravvivenza, dove i nostri avi avrebbero passato buona parte del loro tempo all’attività omicida fratricida. Farci credere questa follia circa il nostro passato è di per sè un crimine, poiché è una menzogna che finisce per essere pensata come una verità, poiché proferita dai canali dell’ufficialità, a cui la gente credo per fede, cioè senza una preventiva analisi critica personale che possa mettere in discussione ‘la voce del padrone’.

Dobbiamo invece constatare che la realtà circa il nostro passato -e anche in merito al nostro presente- è ben diversa da come questi canali la costruiscono e ce la mostrano. Di più, si conviene infatti, anche archeologicamente, che la realtà brutale appartiene soltanto a questa nostra e attuale civiltà statuale, e che nel nostro passato (volendo sì recente) non v’era alcuna traccia di guerra, di tortura, di dominio dell’uomo nei confronti dell’uomo. Se la guerra è, come sappiamo, un avvenimento di rilevanza capitale per qualsiasi società, dobbiamo constatare che non v’è alcuna rappresentazione di guerra nella miriade di pitture rupestri ritrovate in tutto il mondo, fino a un certo punto molto preciso della protostoria. Riferendoci all’Italia, possiamo rilevare infatti che le prime incisioni rupestri rappresentanti dei guerrieri o scene di guerra risalgono al V – IV millennio a.C. (Capo di Ponte – Valle Camonica). Non è un caso. Queste date coincidono con quelle entro cui si colloca la prima ondata di invasioni kurganiche in Europa, responsabili di un mutamento profondissimo della cultura, che da pacifica divenne guerriera, patriarcale, gerarchica, e che sta a fondamento dei nostri attuali ordinamenti sociali, politici, strutturali, culturali, morali, religiosi.

Perché per la cultura statuale è così importante non divulgare la verità e, anzi, costruire una teoria del tutto aliena alla verità epocale? L’attuale ordinamento autoritario deve poter contare, al fine di potersi mantenere nel tempo, su una società in grado di pensare al modello autoritario attuale come qualcosa che abbia determinato la vera civiltà, il progresso, l’emancipazione dei popoli. La società deve quindi poter supporre che prima di questo modello ci fosse soltanto la barbarie assoluta. E lo suppone. In questo modo, l’establishment ha tolto di mezzo uno dei più importanti pilastri su cui si edifica la sua menzogna e la sua violenza intrinseca. Infatti la gente, quando le si propone un modello di civiltà anteriore a quello statale, lo rigetta immediatamente e si affeziona ancora di più al modello attuale, avendo essa, per base culturale imposta, la menzogna costruita espressamente a questo scopo.
Come sempre la verità è sotto gli occhi di tutti. Per guardarla in faccia, però, è necessario abbandonare l’aspetto dogmatico di cui si è opportunisticamente rivestita la cultura dominante, e alla quale la società crede ciecamente, per fede, senza opporre nessuna critica.

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L’autorità ha sempre ragione anche quando ha torto.

In una società autoritaria come quella attuale che vive in uno stato di polizia fondata sulla schiavitù e sull’asservimento degli individui che continua a coltivare ideali xenofobi omofobi razzisti e sessisti ribellarsi è un preciso dovere morale per uscire da questa routine ordita dagli organi di potere e dal martellamento mass-mediatico asservito allo stesso.

L’autorità ha sempre ragione anche quando ha torto marcio. Ha sempre ragione per principio, proprio perché è un’autorità. Non importa se questa autorità non sa fare niente, se si arricchisce sulle spalle di chi sfrutta, se ordina ai suoi servi di devastare, ammazzare, torturare, sfruttare… è lì per quello e avrà sempre ragione per il popolo ben educato, ben istruito, ben scolarizzato. D’altra parte, dice il popolo ben scolarizzato, come si può vivere senza un’autorità? Da dove viene questa devozione spropositata e dogmatica nei riguardi dell’autorità? Da dove viene questo atteggiamento pecorile della folla? Viene dall’educazione, dalla morale imposta artificialmente, dall’istruzione alle buone maniere, dall’imborghesimento, dal conformismo che si perpetua attraverso la scuola.

Si dice che l’educazione serve a civilizzare le persone, laddove civilizzare significa per la verità irreggimentare, ingentilire, addomesticare, rendere innocuo, imborghesire, rispettare gli ordini e chi li dà, morire per l’autorità. Se questa è la civilizzazione io la rifiuto, preferisco essere un animale non istruito. Di fronte ai soprusi e ai crimini commessi dall’autorità, il civilizzato volta la faccia, il civilizzato vede solo la vetrina rotta e, ben educato al senso di vendetta, anziché prendersela con i veri devastatori del pianeta, inneggia alla tortura e alla morte per chi rompe la vetrina. Il servilismo è questo, è cultura, è insegnamento, è educazione alla docilità: essere buoni con i forti, e forti con i buoni. Proprio come fanno gli sbirri. La scuola mette a tutti la divisa nella testa, solo pochi si salvano dall’educazione scolastica. La scuola è la nuova chiesa, e come tale insegna a rispettare le autorità, i suoi ministri, anche se questi violentano i bambini e il mondo intero.

Il bravo scolaro, oggi come ieri, gira la faccia e accusa il compagno di classe ribelle. Perciò questa storia si ripeterà per sempre, fintanto che si continuerà a pensare alla nuova chiesa come a qualcosa di indispensabile. Vorrei che la gente recuperasse la sua animalità, il suo orgoglio, altro che civiltà e bon ton, che vuol dire soltanto devozione al bastone del ricco!

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