Quella strage mascherata da incidente stradale.

Home

46 anni faQuella strage mascherata da incidente stradale. fa. Una piccola storia dell’orrore. Un piccolo thriller che sa di Italia e di provincia. Come la Calabria, un’appendice della Penisola dove avvengono cose strane, dove si consumano sodalizi dementi. Mafia, stragi, terrorismo. E processi farsa, omicidi su commissione, strani incidenti. Sullo sfondo la politica, una cloaca dove si consuma quel tarantolante teatrino fatto di infami connivenze. Certo, siamo solo agli inizi degli gli anni ’70, e questa forse è solo narrativa, ormai. Oppure l’ennesimo orrido paradigma della storia di un paese ancora tutta da conoscere.

26 settembre 1970. La notizia è che muoiono quattro ragazzi. Le cronache, così come Wikipedia, li storicizzeranno come gli Anarchici della Baracca. Anarchici erano anarchici, Gianni Aricò e la compagna Annalise Borth, Angelo Casile, Franco Scordo, Luigi Lo Celso, e la Baracca era la villa liberty dove si trovavano nei loro incontri, un luogo di aggregazione di gente come loro. Insomma, la notizia è che la Mini gialla, lungo il tratto di autostrada tra Ferentino ed Anagni, si schianta contro un camion responsabile, forse, di averle tagliato la strada. Una manovra illogica che manda all’altro mondo Casile, Scordo e Lo Celso sul colpo. Aricò riesce ad arrivare al massimo in ospedale. La sua compagna invece impiega 21 giorni per morire. Ha diciotto anni. I suoi compagni sono sulla ventina. La Stradale rileva immediatamente delle stranezze. Non può essere un semplice tamponamento. I rilevamenti sembrano voler parlare di un sinistro assai più complicato, a cominciare dalle carrozzerie dei veicoli. Ciononostante, malgrado i quattro decessi che poi diventano cinque, più un’infinità di altre implicazioni, le indagini concludono: tragica fatalità. Eppure i cinque ragazzi erano anarchici. E i due camionisti due uomini di Junio Valerio Borghese, il principe nero. Quel Borghese lì, esatto, quello del golpe (del dicembre dello stesso anno), burattinaio di tante e tali trame da far almeno emergere il sospetto che nel caso dell’incidente ci sia, o ci possa essere stato, qualcosa di strano. Del resto i titoli sui giornali del giorno dopo confermano che sono morti “cinque anarchici”, non cinque semplici ragazzi di provincia. E vogliamo parlare del soccorso immediato della Polizia di Stato? Le medesime volanti che molto probabilmente erano già lì sul luogo perché impegnate nel pedinamento della Mini gialla? E le ancor più incerte testimonianze di un terzo veicolo? Illazioni. L’unica cosa certa è il nulla di fatto.

Ma la nostra è una storia di storie. Ne contiene delle altre. Per questo è opportuno fare un passo indietro nel luglio dello stesso anno. Esattamente il 22: deragliamento del direttissimo Torino-Palermo. Un incidente che poi passerà alla storia come Strage di Gioia Tauro. La Freccia del Sud, o “Treno del Sole”, esce dai binari causando sei morti più un numero imprecisato di feriti, sulla settantina. Le indagini si arenano su errori umani, negligenze, guasti meccanici. I responsabili delle ferrovie vengono infine assolti. Ci vuole del tempo prima che si giunga alla verità. Parecchi anni.

Ma nel frattempo è anche opportuno capire cos’era la Calabria del luglio 1970. Un’estate che immaginiamo assolata ma ugualmente e paradossalmente “nera”. Contemporaneamente a Gioia Tauro si stava scatenando la Rivolta di Reggio Calabria. Catanzaro veniva nominata capoluogo di regione, sollevando il malcontento della cittadinanza reggina che si era sentita tradita ed abbandonata. È la storia a raccontarci di come la protesta fu presto sequestrata dalle esigenze del Movimento Sociale Italiano, che, assieme a componenti della società reazionaria, al sindacalismo neofascista, all’intervento di estremisti neri spalleggiati dalla manovalanza dell’‘ndrangheta, soppiantò la classe dirigente democristiana. Il “Comitato d’azione per Raggio Capoluogo“ guidato dal celebre Ciccio Franco ebbe quindi carta bianca nel mettere a ferro e fuoco la città al grido «Boia chi Molla!». La jacquerie di Reggio Calabria sancisce quindi la nascita di un mostro nuovo, inedito, forse il vero protagonista dell’intera vicenda: la fusione tra emarginazione meridionale, società reazionaria, terrorismo nero, strumentalizzazione politica, finalità eversive e ‘ndrangheta. Questo è quello che palpita in Calabria nell’estate del ’70. E questo è quello che i cinque giovani anarchici percepiscono. Ragioni valide che li motivano nell’andare più a fondo.

Gianni Aricò, Annalise Borth, Angelo Casile, Franco Scordo, Luigi Lo Celso svolsero quindi un’opera di testimonianza sugli eventi che avevano agitato la cronaca di quell’estate calabrese del 1970: la Rivolta di Reggio e Gioia Tauro. Scoprirono come le sollevazioni di piazza fossero state influenzate da infiltrazioni di neofascisti di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale nell’ottica di una strategia della tensione più complessa e che riguardava anche altri fatti che avevano insanguinato l’Italia[1], oltre a sostenere che il deragliamento della Freccia del Sud fosse stato causato da una bomba neofascista con la supervisione dell’‘ndrangheta. Supposizioni che trovarono nel tempo più di una qualche conferma e che i cinque misero assieme in una documentazione. Un dossier che volevano portare a Roma.

Il 26 settembre i cinque non arrivarono mai a destinazione. A Roma si manifestava contro Nixon e la Guerra del Vietnam, tuttavia gli anarchici della Baracca avevano un appuntamento con l’avvocato Di Giovanni, colui che si stava occupando di Piazza Fontana. Inoltre si erano portati dietro un fascicolo di molte pagine da consegnare a Umanità Nova, settimanale nell’orbita dei circoli anarchici. Una documentazione che naturalmente sparì dal luogo dell’incidente. A stendere una cortina di mistificazione e depistaggio ci furono i giornali, i quali si impegnarono in una campagna diffamatoria ai danni dei cinque “capelloni”, ignorando deliberatamente connessioni e coinvolgimenti dall’evidente pregnanza cronachistica e processuale. I cinque erano stati difatti ascoltati da Vittorio Occorsio, giudice del processo per la Strage di Piazza Fontana, in merito alle prime indagini sui circoli anarchici. Inoltre si diceva che Casile avesse stilato una lista di estremisti di destra in stretto contatto con la Grecia dei Colonnelli. E poi c’è la telefonata che il padre di Lo Celso aveva ricevuto da un amico che lavora nella polizia politica di Roma. L’ammonimento era stato esplicito: «meglio che non faccia partire suo figlio». Questo il giorno prima dell’incidente.

Non si contano nemmeno le stranezze e le anomalie[2] relative all’incidente ed all’inchiesta connessa (nella pratica mai portata avanti). Tutta letteratura[3]che trova conferma nel ’93, quando Giacomo Lauro e Carmine Dominici[4], due collaboratori di giustizia, confermarono al giudice istruttore di Milano Guido Salvini, impegnato nell’indagine sul terrorismo nero degli anni settanta, la collusione tra criminalità, politica ed estrema destra eversiva[5] in merito ai fatti di Reggio Calabria e l’attentato di Gioia Tauro. Inoltre Dominici, a proposito dell’incidente stradale, dirà al giudice:

«Personalmente ritengo che quello dei cinque ragazzi non sia stato un incidente ma un omicidio. E tale opinione è condivisa anche da altri militanti avanguardisti. Non sono assolutamente in grado di indicare chi potrebbe aver preso parte alla presunta azione omicidiaria e, peraltro, era illogico che ci si rivolgesse a militanti calabresi in quanto ciò avrebbe comportato un pericoloso spostamento geografico».

Nel 2001 anche il responsabile della direzione Antimafia calabrese Salvo Boemi definì logica e plausibile l’ipotesi che anche l’incidente dei cinque anarchici, così come Gioia Tauro, fosse stato un attentato:

«Sono convinto che quei cinque giovani avessero trovato dei documenti importanti. Non riesco a spiegarmi in altro modo la sparizione di tutte le carte che si trasportavano nella loro utilitaria. È un caso che avrei desiderato approfondire […] ma esistono insormontabili problemi di competenza»

Naturalmente non fu resa giustizia alle cinque giovani morti del 26 settembre del ’70, così come non ci fu per Gioia Tauro tra prescrizioni e assoluzioni (Corte d’Assise del 2006), tuttavia la Storia, che forse è l’unica cosa che conta veramente, ci ha ereditato l’ombra di un qualcosa di più nero del post-fascismo. Quel mostro di cui si parlava prima, qualcosa che gli Anarchici della Baracca avevano scoperto. Un inquietante agglomerato di stragismo, strategia della tensione, connivenze politiche, mafia: parole che noi stessi abbiamo appreso a posteriori dalle cronache ma che quei cinque giovani anarchici conoscevano e respiravano quotidianamente. E che per questo pagarono con la vita.

Pubblicato da attualità & politica

/ 5
Grazie per aver votato!

Paolo Lega l’anarchico attentatore di Crispi.


Il 25 settembre 1896 muore l’Anarchico Paolo Lega. Nel giugno del 1894 attentò alla vita del presidente del consiglio francesco crispi.Nato a Lugo di Romagna, in provincia di Ravenna, Paolo Lega inizia a lavorare a nove anni come falegname. A 15 anni si definisce repubblicano, ma qualche tempo dopo già L'attentato di paolo lega a crispi  si considera anarchico di matrice socialista.
Siamo in un’Italia in cui il governo crispi reprime con violenza l’insurrezione dei fasci siciliani ( I fasci siciliani, in cui furono attivi sia uomini che donne, subirono la dura repressione del governo crispi, che nel gennaio 1894 dichiarò lo stato d’emergenza e spedì ingenti forze militari a sciogliere le organizzazioni dei lavoratori, arrestare i leader e ridimensionare notevolmente le loro rivendicazioni (più terra ai contadini, salari più alti per braccianti, minatori e operai). Anche la mafia agì di concerto con le istituzioni, visto che l’ordine latifondistico favoriva la loro organizzazione criminale ), e della Lunigiana poi ( Il 13 gennaio 1894 veniva indetto a Carrara lo sciopero di protesta contro lo stato d’assedio in Sicilia e di solidarietà con gli uomini dei Fasci siciliani arrestati. La manifestazione, che doveva esprimere anche il risentimento per la chiamata alle armi della classe del 1869, doveva essere anzitutto una adunata di scioperanti nella città di Carrara. Ma dai primi assembramenti si passò alla formazione di barricate alla Foce, fra Massa e Carrara, e alla interruzione delle linee telegrafiche. Gruppi di dimostranti attaccavano poi i posti del dazio e le armerie delle guardie, che venivano saccheggiate. Ad Avenza si verificava il primo scontro armato: uccisi un carabiniere e un dimostrante. Fra il 13 e il 14 si formarono concentramenti di ribelli a Codena e Miseglia e mossero verso la città al grido di “Viva la Sicilia! Viva la rivoluzione ). E’ in questo clima che viene progettato l’attentato all’ultramonarchico colonialista Crispi. Arrestato e processato per direttissima, viene condannato a vent’anni e 17 giorni di carcere. Poco più di due anni dopo muore a Cagliari presso la colonia penale agricola di San Bartolomeo.

/ 5
Grazie per aver votato!

Lo sdoganamento del pensiero autoritario fascista delle pseudo sinistre.

Non ci si deve meravigliare più di tanto nel vedere certe campagne omofobe, xenofobe,  razziste, moraliste e sessiste promosse dal ministero della salute,il tutto fa parte di un meccanismo ben preciso supportato dai media a caratteri cubitali e quello che non riesco proprio a capire sono  quelle persone che affermano che il Ministero della salute e la Lorenzin “non ne azzecchino proprio una” e tutto questo è allarmante,in realtà invece le azzeccano proprio tutte. Quello che il Ministero della salute e la Lorenzin stanno facendo non è altro che la continuazione di un’opera di fascistizzazione che si era attenuata negli anni ma sempre presente nel pensiero autoritario dei vertici istituzionali,tutte campagne che fanno chiaro riferimento agli anni fecondi del ventennio quando si invitavano le famiglie a sfornare pargoli e della famiglia tradizionale del fascismo portate avanti da sedicenti sinistroidi non dissimili appnto dalle becere propagande delle destre dei nostri giorni, si sono infatti riciclati nel tempo di legislazione in legislazione dopo il 1945, e questi sono i risultati.PFertility-Day-verter esempio a me quella clessidra tenuta in mano dalla ragazza per la propaganda al fertility day ricorda l’era dannunziana,una clessidra che ahinoi scandisce il tempo che passa portando avanti e favorendo allo stesso tempo certi ideali, oppure da ultime le immagini che raffigurano persone di altre etnie giustificandosi dicendo che il razzismo è solo negli occhi di chi guarda, e no, difendendosi così “”Quello nella foto per noi non è un ‘nero’ ma un ragazzo come gli altri. La nostra è una società multietnica. Un anno e mezzo fa passavamo per eroi per aver portato gli aiuti ai profughi sbarcati a Lampedusa. Oggi siamo considerati razzisti”.  Certo Ministra Lorenzin,per sfruttarli meglio, ma di questo ne ri parleremo in seguito.E no,troppo facile cari miei,il pensiero autoritario e fascista è ancora presente,non è mai morto come si vuole far credere, ha solo cambiato la camicia Potrei andare avanti ma credo sostanzialmente di essermi fatto comprendere almeno da chi vuol capire.

/ 5
Grazie per aver votato!

Le esternazioni fallaci di Oriana.

A 10 anni esatti dalla sua dipartita il Comune di Firenze ha deciso di dedicare ad Oriana Fallaci una piazza, per ricordare chi ha contribuito alla diffusione della discriminazione e dell’odio razziale. Ricordiamo una sua affermazione infelice nella quale dichiarava che non tutti gli islamici sono terroristi ma tutti i terroristi sono islamici,una delle tante perle di saggezza che ci ha regalato la bella Oriana dei tempi che furono la quale in una intervista rilasciata a Rccardo Nencini pochi mesi prima della sua scomparsa dichiarò di voler morire in piedi come Hemily Bronte ma suo malgrado,come ognii comune mortale è trapassata da orizzontale anche se i suoi pensieri xenofobi ahinoi,sono ancora vivi e albergano in molte persone in una società malata condizionata da dei in cielo e da capitalisti guerrafondai sulla terra. Sono memorabili le peripezie della Fallaci,ma nel 2006 riuscì addirittura a superarsi quando a Firenze si ipotizzava la costruzione di una moschea arrivando ad affermare che “Se sarò ancora viva andrò dai miei amici a Carrara, la città dei marmi. Lì sono tutti anarchici; con loro prendo gli esplosivi e la faccio saltare per aria”.

Riportiamo un articolo del 2006 di Giovanni Pedrazzi presidente dei Cobas marmo nel quale risponde alla signora Fallaci per le rime.

La Fallaci? qui a Carrara tra gli anarchici non ha amici

Roma, 30 mag. (Apcom) – “Oriana Fallaci non doveva fare un ’fallo’ di questo tipo. Una cosa è certa ha sbagliato indirizzo. Il movimento anarchico di Carrara con lei non ha proprio nulla da spartire”. Giovanni Pedrazzi, componente dei Cobas del marmo di Carrara e simpatizzante anarchico, risponde così alle dichiarazioni di Oriana Fallaci che in un’intervista a un magazine del New York Times ha usato parole molto forti contro la creazione di una moschea a Colle Val D’Elsa (“è vicino casa mia, prendo l’esplosivo e la faccio saltare”, ha detto la giornalista all’intervistatrice).
Fallaci
“Se sarò ancora viva – ha aggiunto la Fallaci – andrò dai miei amici a Carrara, la città dei marmi. Lì sono tutti anarchici; con loro prendo gli esplosivi e la faccio saltare per aria”. Pedrazzi replica: “Le bombe non le chieda agli anarchici ma le faccia mettere ai suoi amici americani che le fabbricano e le usano dappertutto. E’ ora di smetterla con questa storia degli anarchici bombaroli perché se in passato gli anarchici hanno usato anche le bombe lo hanno fatto contro dei dittatori o dei re”.

“La Fallaci è ’proprio in fallo’”. “E’ una xenofoba. E’ ora di smetterla e non doveva fare un errore di questo tipo”, aggiunge Pedrazzi.

A Carrara, aggiunge Pedrazzi, dove il movimento anarchico ha una storia antica, “la Fallaci non ha amici”. “Io sono un simpatizzante anarchico e mi ispiro alla storia del movimento che qui a Carrara ha avuto personaggi come Alberto Meschi, sindacalista di Azione diretta, segretario provinciale della Camera del lavoro che nel 1911 riuscì ad ottenere per i lavoratori delle cave di marmo un orario di lavoro di 6 ore e 40 giornaliere”. Nes/Ral

 

Ale

/ 5
Grazie per aver votato!

Una storia sconosciuta. La storia di Noe Ito

Noe Ito nasce a Imajuku, sull’isola di Fukuoka, in Giappone, il 21 gennaio 1895. Come tutte le donne giapponesi, l ‘aspetta una vita di obbedienza assoluta ad ogni tipo di autorità in una società rigidamente gerarchica, codificata, ritualizzata: come geisha, come madre, come prigioniera, come esclusa. A 15 anni si sposa con un uomo più vecchio di lei di nome Fukutaro, il quale si impegna a sostenere i suoi studi, ma in realtà lei lo aveva sposato con la speranza di andare negli Stati Uniti, una volta giunti li, lo avrebbe lasciato.
Frequenta la scuola femminile di Ueno, a Tokio, qui fa amicizia con il suo insegnante di Inglese,. Jun Tsuji.
È un anarchico dichiarato; poeta, saggista, drammaturgo, traduttore, dadaista, nichilista, femminista e bohemien. È il primo traduttore in giapponese dell’”Unico e la sua proprietà” di Max Stirner. L’amicizia si trasforma in amore ed impegno politico, lascia Fukutaro e si sposa con Jun Tsuji, da cui avrà due figli: Makoto e Ryuji.
opo il diploma entra nella redazione della rivista femminile “Seito”, dove diventa caporedattrice e da una svolta decisamente radicale alla rivista, facendola diventare una rivista di critica sociale e decisamente femminista. Ito si distingue per i suoi articoli e per la traduzione di “The Tragedy of Woman’s Emancipation” di Emma Goldman. In questo periodo incontra e si innamora di un giovane anarchico Osugi Sakae, anche lui è sposato. Nel 1916 la rivista viene chiusa d’autorità. Noe Ito e Osugi Sakae, tornano a vivere insieme, istaurando un rapporto basato sul libero amore, creando scandalo e un vero e proprio terremoto anche all’interno del movimento anarchico. In una casa del tè, Osugi, viene ferito con una coltellata da , Masaoka Itsuko, militante anarchica e femminista, che era stata un’amante di Osugi.
Come è facile immaginare, queste polemiche e scandali colpiscono maggiormente Noe Ito, in quanto donna, ma non le impedisce di impegnarsi ancora di più nelle lotte del movimento anarchico e nelle rivendicazioni, femministe, continua a tradurre le opere di Emma Goldman e di Pëtr Kropotkin, e fonda un gruppo di donne, “Onda Rossa, le Donne Ribelli” che assume dimensioni tali da preoccupare seriamente le autorità.
La mattina del primo settembre 1923 la pianura del Kanto sull’isola maggiore del Honshu in Giappone è colpita da un terribile terremoto. La scossa è infinita. I morti sono più di 100.000, i dispersi circa 37.000. Tokyo è devastata.
Nelle ore immediatamente successive al sisma, squadre della polizia militare vengono inviate non a prestare soccorso alla popolazione colpita dal terremoto, ma a dare la caccia ai pericolosi sovversivi; una di esse raggiunge Noe Ito e Sakae Osugi.
Noe Ito
I militari agiscono ferocemente, non hanno alcun ritegno nei suoi confronti così come nei confronti di Osugi e del bambino. Vengono strattonati violentemente, ammanettati, insultati. Una volta presi non vengono portati al vicino comando di polizia. Vengono trascinati poco più distante in un vicolo cieco della città. Lì vengono brutalmente picchiati a morte, strangolati e i loro corpi gettati in un pozzo, dove vengono ritrovati il giorno dopo. È il 16 settembre 1923, Noe Ito aveva 28 anni.

Phabio

/ 5
Grazie per aver votato!

Lettera aperta ai compagni (per chi vuole ascoltare)

Sono un anarchico.

Ormai non ricordo più neanche da quanto lo sono, una vita. Mio padre era un anarchico, di quelli che l’ideale prima di tutto, prima della famiglia, delle sue tele, dei figli, della vita stessa. Mio nonno era un comunista anarchico degli anni venti. La mia famiglia da parte di mio padre ha attraversato tutte le articolazioni repressive dello stato; manicomio, carcere. Potrei dire di essere anarchico più di altri, ne avrei facoltà, di quelli che ad esempio si mettono la spilla con la A cerchiata sulla giacca dopo essere usciti di casa per non farsi vedere dai genitori o di quelli che leggendo un libro di Stirner o Bakunin pensano di avere la verità in tasca, ma non lo dico e non lo penso. Certo leggere può aiutare, almeno nella comprensione delle dinamiche di dominio a cui siamo relegati, può aprire la mente come un grimaldello, sensibilizzare la coscienza, ma non serve a nulla leggere se non si è predisposti alla comprensione, alla fratellanza di chi ti sta accanto. Ecco perchè nella vita ho sempre preferito lo spontaneismo anarchico ai barbuti professori, ecco perchè ho sempre visto più anarchia nello sguardo del ragazzo incoscente che non nel giudizio severo del vecchio. Non mangio gli altri animali, consapevole del fatto che siamo tutti animali, diversi questo si, ma semplici abitanti di questo pianeta. Sembra semplice eppure non lo è. Persone ben più preparate di me hanno affrontato tali questioni e direi anche con più esperienza, ma uno stimolo oggi vorrei darlo. La nostra società è fondata sullo sfruttamento, le sue propaggini non si fermano al solo essere umano ma si spingono a tutti gli esseri viventi. Già Voltaire, e prima di lui altri, affrontò la questione animale, la potrei definire un etica del riconoscimento, gettare cioè le basi di una pratica etica estesa oltre la nostra specie. Per secoli pensatori che oggi proponiamo come precursori, almeno nello spirito dell’epoca, libertari hanno voluto e richiesto una sorta di sensibilizzazione a certe tematiche. Il pensiero anarchico è forse l’unico mastice che ha la forza per tenere legati e quindi combatterli i vari sfruttamenti. Non si capisce come mai, o meglio non riesco a capire come mai, la maggior parte dei libertari ha a cuore la eliminazione delle frontiere, degli Stati, del concetto stesso di società per come è strutturata, della salvaguardia del debole, della sparizione di eserciti, carceri e razzismo e non ha a cuore la distruzione delle gabbie. Le gabbie sono il carcere degli altri animali, sono il manicomio di altri esseri viventi, sono la violenza e il dolore moltiplicati per cento. Il potere sfrutta sia noi umani che gli altri animali e questo è un dato incontrovertibile, nessuna scusa può cambiarlo. Gli anarchici sono contro lo sfruttamento, combattono le ingiustizie e quale ingiustizia peggiore degli allevamenti intensivi, del massacro quotidiano di altri esseri senzienti. Perchè essere contro un solo tipo di sfruttamento, perchè combattere contro tutti i crimini che il sistema commette meno che il peggiore, l’eliminazione sistematica degli altri abitanti della terra. Tutti gli anarchici, nessuno escluso, sono contro la devastazione delle foreste, dei villaggi, di popoli che soccombono al progresso del capitale, dichiarano fratellanza ai loro fratelli e questo è onorevole certo, ma ci chiediamo perchè deforestano o eliminano i sindacalisti nei villaggi o torturano le popolazioni inermi ? Beh, spesso lo fanno per coltivazioni intensive, per nutrire i milioni di animali che servono all’industria della carne o del latte. Quali sono le peggiori aziende che annientano l’uomo ? Le stesse che si arricchiscono e annientano gli altri animali, le stesse. Non voglio neanche approfondire troppo l’argomento ormai è lampante e comprensibile a tutti, noi umani subiamo la stessa sorte, la stessa violenza, lo stesso sfruttamento che subiscono gli altri animali. Sono stufo di partecipare a serate o giornate libertarie dove al momento del mangiare si formano due file, la fila che mangia carne e la fila che non la mangia, battute offensive, risate e disprezzo nei confronti di chi fa scelte diverse. Io sono un anarchico e quindi sono un antifascista, un antirazzista, sono contro questo sistema che perpetua la forza e il disprezzo per chi è diverso, sono antispecista perchè ritengo che non ho nessun diritto di fare del male a chi non me ne fa, così come non ho nessun diritto di fare del male a un uomo o una donna diverso da me. Sono anche consapevole che vivendo nell’ingranaggio del sistema sono responsabile di dare sofferenza, da quando salgo su una macchina che per andare devasta il delta del Niger con il petrolio a quando fumo il tabacco ma questo non significa niente, almeno nel mio piccolo cercare di fare meno danno possibile, cercare di creare meno sofferenza possibile, non è difficile da capire. Mi rivolgo a coloro che comprendono i tranelli del potere e la sua ferocia e la combattono, non potremo mai considerarci liberi se sotto i pavimenti che calpestiamo, sotto le case che abitiamo vengono rinchiusi esseri che comprendono come noi il dolore e la paura. A chi mi dice che non mangiare altri animali può essere dannoso per il nostro fisico rispondo che anche fosse non mi interessa, non penso solo a me, sono un anarchico. A chi mi dice che ci sono problemi più urgenti e importanti della questione animale rispondo che tutti i problemi che ci affliggono partono dalle stesse stanze, le stanze che un anarchico non frequenta, semmai le distrugge. A chi mi dice che nella storia si è sempre fatto così rispondo che la storia l’hanno scritta gli sfruttatori non gli anarchici. A chi mi dice che bisogna salvaguardare il lavoro e il salario degli altri rispondo che il lavoro va eliminato, il peggior anello che ci incatena a questa società che vogliamo attaccare perchè anarchici. A chi mi dice che gli altri animali servono anche per sfamare la povertà rispondo che la povertà esiste perchè esiste sfruttamento, la prima “legge” dell’anarchia. A chi mi dice che sono un estremista perchè parlo della questione animale rispondo che il termine estremista me lo hanno già marchiato a fuoco i palazzi del potere perchè anarchico. A chi mi dice che la libertà non potrà fiorire fino a quando tutti non saremo liberi rispondo si, tutti liberi, tutti, sono un anarchico. La prossima volta che mi invitate ha una festa libertaria dove le risate e le battute sono indirizzate solo a chi è diverso risponderò io sto con i diversi, con gli ultimi, tutti gli ultimi, sono un anarchico. Io non insegno niente, non ho nessun seguito, non cerco seguaci e non voglio ragione, non ho nessuna verità e sono poco furbo, non conosco il plauso o il battimani, non ritengo di avere lo scettro dell’anarchico perfetto perchè sono nato imperfetto ma una cosa la conosco; sono certo che il dolore, la violenza, il predominio sono vasi fatti dello stesso fango, l’arroganza, la prepotenza, la forza sono dighe di lurido cemento che contengono un fiume pulito che si chiama anarchia…

Olmo

/ 5
Grazie per aver votato!

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: