Andare a votare al referendum? Anche no!

A proposito di referendum

Da tempo gira un appello per il “no sociale” al prossimo referendum sulla riforma costituzionale. In un’assemblea tenutasi a Roma il primo ottobre, gli attivisti e i gruppi che si riconoscono nella parola d’ordine del “No sociale” hanno espresso la volontà “di riuscire a determinare con forza una capacità da parte dei movimenti e delle realtà sociali del paese di agire la sfiducia dal basso al governo Renzi e al Partito Democratico, evitando che la questione della stabilità e del futuro del governo siano oggetto di forme di recupero istituzionale, attraverso uno sforzo diffuso nel promuovere forme di attivazione sui territori.”

Tralasciando le ipotesi complottiste e moraliste, non possiamo fare a meno di segnalare la contraddizione che esiste tra l’azione pratica dei movimenti e lo sbocco istituzionale prefigurato dall’assemblea di Roma. Laddove esistono e vincono, i movimenti per la casa, per il lavoro, l’ambiente ecc. ecc., tutto questo avviene perché vengono messe in pratica l’autorganizzazione e l’azione diretta, avviene quando si occupa una casa sfitta, quando si coccupa un capannone o un terreno abbandonato, avviene quando viene compiuto un atto che mette in discussione la proprietà privata, “l’ordinamento economico costituito nello Stato” come contemplato nel codice penale, e perché, in un punto nello spazio e nel tempo, si rompe il meccanismo della legalità, si nega l’autorità dello Stato , compiendo quindi un atto insurrezionale. E questo, sia ben chiaro, avviene nonostante la presenza degli anarchici sia scarsa o nulla in alcuni casi, nonostante gli attivisti non si pongano minimamente nella prospettiva dell’abolizione della proprietà privata e dello Stato. Che dire quindi di una strategia che si impone per la sua efficacia, al di là della volontà dei singoli, se non che si impone con la forza di una legge di natura?

Una volta compiuto l’atto, iniziano subito le trattative con le istituzioni per un riconoscimento più o meno formale, e allora i legalitari, i votaioli, sia pure “antagonisti”, danno sfoggio di tutte le loro capacità mediatrici, ma sono capacità, riteniamo noi, che non si potrebbero esercitare senza quell’atto iniziale di liberazione, che per le istituzioni è un peccato originale violento. Che ha segnato il primo (e spesso unico) punto di vantaggio dei movimenti.

Quindi se la pratica dell’azione diretta e dell’autorganizzazione si impongono con la forza di una legge naturale, perché anziché diffonderle e generalizzarle, facendo dell’esproprio e dell’insurrezione momenti complessivi di soluzione della drammatica crisi che milioni di persone stanno vivendo, si snaturano subordinando i movimenti alle scadenze istituzionali? Perché si vuole che migliaia di persone “impegnate nei comitati a difesa dei territori, nei percorsi di lotta sulla formazione, nei movimenti per il diritto all’abitare, nelle lotte nel mondo del lavoro, uomini e donne che lottano contro le ingiustizie sociali in questo paese,” abbandonino il loro posto di lotta e si schierino a fianco di un Grillo, di un Alfano o di un D’Alema? Che cosa si spera di ottenere?

Seguire le giravolte politiche dei grillini e dell’arcipelago della sinistra istituzionale porterà questi militanti sempre più lontano dalla maggioranza degli sfruttati, da quella maggioranza che non ha più fiducia nel metodo elettorale. I milioni di proletari che non vanno più a votare non chiedono alle minoranze coscienti di schierarsi nella lotta elettorale fra Grillo e Renzi, chiedono forme di lotta politica alternativa alla deposizione della scheda nell’urna; se queste minoranze non saranno in grado di dare questa risposta, si troveranno soli in compagnia di Fassina e di Vendola.

E le forze alternative ci sono, il “No sociale” in realtà non riesce a far breccia al di fuori di quei militanti e di quelle forze ancora prigionieri di una concezione autoritaria e elitaria della politica, che ritengono il “movimento” loro proprietà privata. La giornata del 7 ottobre ha visto a Milano e a Firenze scendere in piazza anche chi non si vuole far ingabbiare nella deriva referendaria. E se a Firenze è intervenuta la polizia, a Milano ci ha pensato il servizio d’ordine del “No sociale” a tentare di rimettere in riga i ribelli. Sulla vicenda di Milano ha pesato sicuramente la vicenda No Expo ma, per chi vede le cose da lontano, è rimasto sgradevolmente colpito dalla somiglianza con gli squadristi del PCI che difendevano dalla contestazione i burocrati del partito e del sindacato.

Solo la costruzione di un vasto fronte libertario, che raccolga tutti coloro che fanno dell’azione diretta e dell’autorganizzazione momenti coscienti della loto strategia, e si concretizzi nell’astensione al referendum, può agire vittoriosamente nei vari episodi di scontro di classe che si manifestano, permettendo così ai vari movimeti di crescere senza subordinarsi alle scadenze legalitarie di destra e di sinistra.

Alcune anarchiche e anarchici

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