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Carrara dall’ 8-9 novembre 1944 al fascismo di oggi.

https://www.facebook.com/lafiaccoladellanarchiallanarchia Facebook Twitter Stampa ,Tra l’8 e il 9 novembre 1944 Carrara è temporaneamente liberata dai partigiani. Dopo avere inutilmente invitato gli alleati (che sostano inattivi sulla Gotica) a occupare Carrara e proseguire oltre, i partigiani devono ritornare sulle posizioni di montagna. Il ripiegamento avviene dopo la conclusione di un accordo che permette la liberazione…

1_francesca-rola-coi-partigiani-della-ulivi,Tra l’8 e il 9 novembre 1944 Carrara è temporaneamente liberata dai partigiani. Dopo avere inutilmente invitato gli alleati (che sostano inattivi sulla Gotica) a occupare Carrara e proseguire oltre, i partigiani devono ritornare sulle posizioni di montagna. Il ripiegamento avviene dopo la conclusione di un accordo che permette la liberazione di 18 ostaggi e impegna i tedeschi a rispettare come zona franca la città che conta in quei giorni oltre 100 mila abitanti a causa della massiccia presenza degli sfollati. Un episodio quasi unico nella storia della guerra in Italia e scarsamente noto. Le donne coraggiose della provincia non solo impediscono, con la loro sollevazione a Carrara, la deportazione dell’intera città, ma salvano la popolazione dalla fame. È solo grazie alla loro abnegazione se la parte più povera della provincia riesce a sopravvivere. Migliaia di donne si recano a piedi, portando sacchi o trascinando carretti, attraverso le erte montagne, fino all’Emilia per scambiarvi con farina, legumi e carni secche il sale ricavato dall’acqua marina. Al loro ritorno, esse devono poi superare gli sbarramenti nazifascisti che spesso le depredano di quanto esse sono riuscite a procurarsi. Piero Calamandrei chiamerà queste donne apuane «formiche umane».
Massa è liberata il 10 aprile ’45, ma rimarrà sotto il fuoco delle artiglierie tedesche per altri cinque giorni. Il giorno dopo gli alleati entrano in Carrara, nei fatti già occupata dalle formazioni partigiane. Ma il fascismo non è finito neppure il 25 Aprile 1945, anzi, proprio a partire da quella data ha preso l’avvio una costante strategia d’infiltrazione, favorita dalle stesse strutture di potere, che ha fatto sì che l’ideologia fascista potesse radicarsi nuovamente all’interno della società civile italiana. Se, come asseriva qualcuno, non esistono poteri buoni, non bisogna quindi meravigliarsi se la cosiddetta Repubblica Democratica italiana sorta dalla Resistenza abbia in realtà ben presto fatto proprie le principali idee e metodologie di coloro che asseriva e vantava di aver combattuto e vinto. E se è vero che la logica fascista di controllo, autoritarismo e persecuzione del dissenso si può ritrovare in svariati aspetti di ogni tipo di Stato e delle sue emanazioni (dalla militarizzazione dei territori, all’emarginazione del dissenso politico; dal capillare controllo poliziesco, alla creazione del consenso), c’è da dire che in Italia, favorita anche dalla idea guida della cosiddetta “pacificazione”, si è avuto addirittura un vero e proprio travaso di elementi fascisti all’interno dei “nuovi” apparati istituzionali democratici. Dalla riaffermazione dei prefetti del passato regime (dei 109 prefetti fascisti in carica prima dell’8 settembre 1943, ben 105 furono reintegrati allo scadere del 1945), alla amnistia Togliatti del ’46 (salutata nelle aule di tribunale da trionfali saluti romani da parte dei gerarchi e camerati amnistiati), fino al pieno reintegro nei ruoli di polizia e nei comandi dell’esercito dei precedenti funzionari fascisti, si può ben dire che in Italia il fascismo ha potuto largamente e tranquillamente proseguire il suo cammino sotto spoglie più subdole e meschine. E non bisogna certo dimenticarsi del famigerato Codice Rocco del 1933, che ha introdotto nel codice penale, tra gli altri, strumenti di repressione come i “fogli di via” , o il reato di “devastazione e saccheggio” , codice mai abolito ma anzi gelosamente conservato tra le pagine dei codici legali democratici ad argine dei conflitti sociali. D’altronde, ciò che importa sia all’ideologia fascista e a quella statale , è di veicolare tra le masse il messaggio dell’obbedienza all’autorità costituita, vera e propria chiave di volta di ogni pensiero totalitario. E per fare ciò, cosa c’è di meglio dell’infiltrazione e del mimetismo come vera e propria strategia politica? Sin dalle origini il fascismo ha sfruttato e utilizzato la confusione, il populismo, il mimetismo e l’entrismo in ambiti politici ideologicamente opposti. Se con una mano si atteggiava a strenuo difensore degli umili, con l’altra brandiva il bastone proprio contro questi ultimi, foraggiato ed armato da coloro che, a parole, diceva di voler combattere, la grande borghesia agraria ed industriale. Tuttoggi, da parte del cosiddetto neofascismo, la strategia non è cambiata: da una parte si distribuisce pane nei quartieri popolari, si occupano case a favore dei senzatetto o si promuovono concerti punk-rock; dall’altra si auspicano lager e deportazioni, e si spranga e si accoltella, con la silente complicità delle forze di polizia, chi non la pensa allo stesso modo. Forme di mimetismo e populismo a cui non sono estranei altri movimenti il cui fine ultimo, alla fine della fiera, non è altro che la gestione e il controllo del potere politico in funzione antipopolare. Ed in effetti, per esempio, il tanto sbandierato valore della legalità, così apprezzato e propagandato anche da tanta parte della sinistra istituzionale, cos’altro non è se non una forma edulcorata e mimetica per veicolare tra i cittadini l’idea dell’obbedienza all’autorità costituita? Perché, in fin dei conti, ciò che importa è che nel mondo ci sia sempre qualcuno che comandi e qualcuno che ubbidisca, o, come si diceva una volta, chi sfrutta e chi è sfruttato.

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