Quando la legge Mammì uccise le radio libere.

Se ci fossero ancora le radio libere, quelle che la legge Mammì ha volutamente ucciso, quelle degli anni ’70 – inizi ’80, io consiglierei a tutti i giovani di frequentarle, di viverle come abbiamo fatto noi, dietro un microfono e un mixer, con tanta voglia di comunicare non soltanto via etere, ma pure in viva persona, con le compagnie che si creavano, dentro e fuori la radio, con la scusa della radio, e si usciva insieme che c’era sempre quello o quella conosciuta da poco grazie alla sua telefonata in radio: ‘che, senti, posso passare alla radio che così vi conosco di persona’? Perché le radio libere sono state importantissime non soltanto per la capillarità dei messaggi così diversificati specifici del luogo, messaggi non omologati, vivi, umani, e non soltanto per i contenuti che si trasmettevano, ma anche perché allora vivere la società significava passare da lì, stare anche soltanto a vedere come funzionava, fino a diventare uno speaker, perché no, senza per questo dover avere per forza una laurea o una specializzazione, bastava una voce discreta, che tanto le idee e la fantasia c’erano sempre, e quello contava! Niente, poi la legge Mammì mise fine a un mondo straordinario che forse sarebbe morto comunque sotto il peso dell’edonismo reaganiano che avanzava a grandi passi e che portava i giovani ai tum tum ridondanti delle discoteche, ma morire anzitempo per progetto omicida di stato, proprio no, quella è stata una vigliaccata criminale! Chi è rimasto? Sono rimaste le radio che hanno accettato il ricatto, riunitesi poi in grandi network, tutte affiliate al potere, per legge, e senza più umanità, senza più quel calore. Forse dovremmo ricominciare da quella stagione, ricominciare come nel 1975, cioè in clandestinità, perché ormai, qui, tutto ciò che è libero e vivo è stato ucciso o severamente vietato! Riapriamo le radio libere clandestine! Vita vera, altro che feisbuc!

Cloud’s WaldenImpastato

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