L’AZIONE (Carlo Cafiero)

Non è il caso che i signori sapienti assumano quell’aria,come se dovessero reggere il mondo intero: nonsono stati loro ad inventare l’idea rivoluzionaria. Sonostati gli oppressi, che, attraverso i loro tentativi, spessoinconsapevoli, di scuotere il giogo degli oppressori,hanno richiamato l’attenzione dei sapienti sulla moralesociale; e solo più tardi qualche raro pensatore si è degnatodi trovarla insufficiente, e più tardi ancora, altrihanno acconsentito a riconoscerla del tutto falsa.Sì, è stato il sangue versato dal popolo che ha finitoper cacciare delle idee nella loro testa. Le idee scaturisconodai fatti, e non viceversa, diceva Carlo Pisacanenel suo testamento politico, ed è vero. È il popolo che fail progresso, allo stesso modo che la rivoluzione: la partericostruttiva e la parte distruttiva. È lui ad essere sacrificatoogni giorno, per mantenere la produzione universale,ed è ancora lui che alimenta col suo sangue lafiaccola illuminante dei destini umani.E quando un pensatore, dopo aver imparato bene il librodelle sofferenze umane, enuncia la formula di un’aspirazionepopolare, i conservatori e i reazionari di ognitipo si mettono a gridare a piena voce: «Allo scandalo!».Ebbene sì, lo scandalo: abbiamo bisogno di scandalo;

 

 

 

perché solo a forza di scandali l’idea rivoluzionaria hapotuto fare il suo cammino. Non ha forse sollevato scandaloProudhon, quando esclamò: La proprietà è un furto?Ma oggi non c’è un sol uomo di buon senso e di cuore,che non pensi che il capitalista è il più scellerato ditutti i ladri; di più, il ladro per eccellenza. Armato delpiù atroce strumento di tortura, la fame, tormenta la suavittima, non per un istante, ma per tutta la vita: torturanon solo la sua vittima, ma anche la donna e i bambinidi quest’uomo che tiene stretto tra le sue mani. Il ladrorischia la libertà e spesso la vita, ma lui, il capitalista, oil ladro per eccellenza, non rischia niente, e quandoruba, s’impadronisce non solo di una parte, ma di tuttociò che il lavoratore ha.Ma non basta trovare la formula teorica. Dal momentoche il fatto ha generato l’idea rivoluzionaria, è ancorail fatto che deve intervenire per garantire la generalizzazione.Ai primi congressi dell’Internazionale, tra il proletariatofrancese erano pochi gli operai che accettavano l’ideadella proprietà collettiva. Ci è voluta la luce gettatasu tutto il mondo dagli incendi della Comune, perché l’idearivoluzionaria fosse vivificata e propagata, e perchési giungesse al congresso di Havre, che, per bocca diquarantotto rappresentanti degli operai francesi, riconoscecome scopo il comunismo-libertario. E tuttavia, ricordiamoancora come certi dottrinari-autoritari, pieni digravità e saggezza, ripetevano, ancora fino a pochi anni

 

 

 

cialista, dando luogo alla più disastrosa delle reazioni. Ifatti hanno dimostrato la profondità di vedute di questi«socialisti scientifici» (che, nella, maggior parte deicasi, non hanno nessuna scienza), che avrebbero volutoavviare tra i socialisti la famosa «politica dei risultati».È dunque dell’azione che abbiamo bisogno, dell’azionee sempre dell’azione. Con l’azione, si lavora al tempostesso per la teoria e per la pratica, perché è l’azione chegenera le idee, ed è l’azione, ancora, che si incarica didiffonderle per il mondo.Ma che tipo di azione faremo?Dobbiamo giungere, o mandare i nostri, in Parlamento?O al Consiglio municipale?No, mille volte no. Noi non abbiamo niente a che farecon le manovre dei borghesi. Non dobbiamo mischiarcial gioco dei nostri oppressori, se non vogliamo parteciparealla loro oppressione. «Andare in Parlamento, significaparlamentare, parlamentare significa scendere apatti», diceva una volta un ex-rivoluzionario tedescoche, da allora, ha parlamentato molto lui stesso.La nostra azione dev’essere la rivolta permanente, attraversola parola, attraverso gli scritti, col pugnale, colfucile, con la dinamite, e persino, a volte, con la schedaelettorale, quando si tratta di votare per Blanqui o Trinquetche sono ineleggibili. Noi siamo conseguenti, e ciserviamo di qualunque arma, quando si tratta di colpireda ribelli. Tutto ciò che non fa parte della legalità è buono,per noi.

 

 

 

«Ma quand’è che ci conviene di inaugurare la nostraazione, il nostro attacco?» ci chiedono a volte degli amici.«Non dobbiamo aspettare che le nostre forze sianoorganizzate? Attaccare prima di essere preparati, significaesporsi alla sconfitta».Cari amici, se aspettiamo sempre di essere forti, perattaccare, non attaccheremo mai e faremo come quelbrav’uomo, che giurò di non gettarsi più in mare primadi avere imparato a nuotare. È proprio l’azione rivoluzionariache sviluppa le nostre forze, come la ginnasticasviluppa la forza dei muscoli. Certo, all’inizio i nostricolpi non saranno mortali; può anche darsi che faremoridere i socialisti gravi e saggi, ma potremo sempre rispondereloro: «Ridete di noi perché siete sciocchi comequelli che ridono di un bambino che cade facendo i primipassi. Vi diverte chiamarci bambini? Ebbene, sì, losiamo, dal momento che lo sviluppo delle nostre forze èa uno stadio ancora infantile. Ma provando a camminare,dimostriamo appunto che cerchiamo di diventare degliuomini, cioè un organismo completo, sano e robusto,in grado di fare la rivoluzione, e non degli scrittorelli-redattori,invecchiati prima del tempo, che rimasticanocontinuamente una scienza, la cui digestione non sicompie mai e che preparano sempre, nei tempi e neglispazi infiniti, una rivoluzione che si perde nelle nuvole.Come cominciare l’azione?Semplicemente, cercatene l’occasione: non tarderà apresentarsi. Dobbiamo essere presenti dovunque si sentaodore di rivolta e di polvere. Per prendere parte a unmovimento, non aspettiamo che questo si presenti, conl’etichetta del socialismo ufficiale. Ogni movimento popolareporta già in sé i germi del socialismo rivoluzionario:bisogna dunque parteciparvi, per dargli più slancio.Un ideale chiaro e preciso della rivoluzione è formulatosolo da una ristrettissima minoranza, e se, per parteciparealla lotta, aspettiamo che esso si presenti così comel’abbiamo concepito in cuor nostro, aspetteremo sempre.Non facciamo come i dottrinari che chiedono la formulaprima di tutto: il popolo porta nelle sue viscere la rivoluzionevivente, e noi dobbiamo combattere e morire conlui.E quando i fautori dell’azione legale o parlamentareverranno a rimproverarci di non unirci al popolo, quandova a votare, risponderemo: «Certo che ci rifiutiamodi unirci al popolo quando sta in ginocchio davanti alsuo dio, davanti al suo re, o davanti al suo padrone; masaremo sempre con lui quando sarà in piedi davanti aisuoi potenti nemici. Per noi, l’astenerci dalla politica,non significa astenerci dalla rivoluzione: rifiutarci dipartecipare a qualunque azione parlamentare, legale ereazionaria, significa votarci alla rivoluzione violenta eanarchica, alla rivoluzione della canaglia e dei pezzenti».(Da «Le Révolté», Ginevra, 25 dicembre 1880)

 

 

 

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