L’invisibile violenza della scuola.

Le persone non vedono la violenza della scuola, quella invisibile, strutturale, quella che inevitabilmente i bambini apprendono inconsciamente e riproducono, e riprodurranno. Le persone pensano che la scuola sia un semplice passaggio di informazioni da un adulto a un gruppo di bambini. Le persone non si chiedono se il gruppo di bambini abbia o meno voglia di stare chiusi in un’aula, fermi, zitti, ad ascoltare degli adulti per ore e delle lezioni noiose. Anzi, le persone pensano che i bambini abbiano bisogno di quelle lezioni, in quel momento preciso, in quel luogo preciso, e soprattutto in quel modo preciso, un modo autoritario che qualsiasi riforma non farebbe altro che riaffermare. Storia insegna. Le persone non si rendono conto che questo passaggio obbligatorio di informazioni obbligatorie è regolato soltanto dalla violenza e dall’infamia del ricatto, e che questo ricatto invisibile agli occhi verrà stampato nei comportamenti e nel carattere di ogni bambino. Dice il maestro: ‘o fai come ti dico io, nei tempi che decido io, oppure ti punisco con un brutto voto’. Cosa che si traduce inevitabilmente in un insegnamento di coercizione, un atteggiamento autoritario, che i bambini assimilano e riproducono, costruendo così la società che vediamo. Proviamo a far giocare dei bambini ‘alla scuola’, e vediamo come questi abbiano imparato perfettamente ad imitare non soltanto il cipiglio bruto del maestro, ma soprattutto a sottomettere con la minaccia tutti gli altri. Ma poi c’è il discorso della competizione. Le persone forse riescono anche a vederla questo tipo di violenza strutturale, ma non se ne curano, la pensano necessaria, se non fondamentale. La terribile competizione che si annida nel pretesto del voto necessario, della classificazione necessaria, del merito e del demerito conseguenti, della divisione tra buoni e cattivi. Premio e punizione, il sunto della scuola e della caserma militare! Un addestramento simile, in un’età in cui si è delle spugne, che cosa vogliamo che produca, se non una società di sbirri e autoritari, e pure molto infami e ipocriti? Ma no, per le persone questa non è violenza. Non è violenza neanche l’assillo di sentirsi sempre sotto sorveglianza, cosa che modifica terribilmente anche i movimenti dei bambini, la loro spontaneità, la gioia, la serenità interiore. Ma tanto, perché dovrebbero muoversi sti idioti? Non gli fa bene! Decidono gli adulti già scolarizzati per loro, e non asperttano altro sti adulti frustrati! Sorveglianza obbligatoria, competizione obbligatoria, noia obbligatoria, attenzione obbligatoria, e non solo a scuola. Ma cosa crediamo di ottenere da persone così violentate? Una società di giusti e solidali? Pace e serenità? Fratellanza? Sapete cosa me ne faccio io di un bambino che non sgarra le tabelline ma che ha già imparato a essere suddito con aspirazioni da despota? Un bel niente! No grazie, preferisco un analfabeta, ma so che sarà ancora umano e autodeterminato, in grado di dire no alle autorità. E con buona pace degli stolti, quelli che credono che senza la scuola ci sarebbe la dissoluzione totale dell’umanità (infatti le guerre le progettano gli analfabeti, si sa), io mi accodo con i più grandi pedagogisti e intanto affermo che studiare è molto diverso che apprendere, che apprendere veramente nasce da un istinto naturale che necessita di rapporti paritari e di libertà, sospinta dall’innata curiosità. Libertà di scegliere, ad esempio. Conosco gente che ha imparato più cose qui su internet, liberamente, per proprio piacere, per propria curiosità. e nei tempi che si è autoconcesso, che non in tutte le scuole frequentate, ed è gente che mi viene ancora a dire ‘se non ci fosse la scuola…’. Ma che cosa? Ma se pure gli operai analfabeti dell’Ottocento, in America, conoscevano i classici della letteratura meglio dei borghesi (Noam Chomsky) sospinti dall’innata voglia di imparare a leggere e poi di leggerseli davvero quei libri, e di capirli soprattutto, mica solo di arredarsi il salotto che non avevano neanche! Che poi uno prende un bambino non scolarizzato, lo osserva, e si accorge che è un continuo chiedersi le cose, e chiederle agli altri, e darsi risposte anche quando non le ottiene… parte tutto da lui, ed è felice, nessun obbligo, e farà così finché non andrà a scuola. Poi, una volta giunto a scuola, oltre a vedersi deresponsabilizzato in tutto, oppresso dall’obbligo e addestrato persino a riverire l’autorità, a credergli comunque e in ogni caso, il bambino a poco a poco smetterà di trovare piacere nel leggere, sarà annichilito persino nella sua voglia di inventare, di creare, di sognare, sarà snaturato, disumanizzato, e dovrà essere allineato, omologato, certificato, massificato, adattato, giudicato, valutato, timbrato. Ed ecco pronta la pecora votante di domani, il ‘prenditore di partito’, il produttore docile e rassegnato che non si incazza se non col suo compagno (magari straniero, o gay, o juventino, o chissacosa), che dice pure che un altro modo di vivere è impossibile e brutto (si vede che sta benissimo allora). Ma tutto questo, e purtroppo anche altro, che è di una violenza invisibile e indicibile, le persone non lo vedono, non vogliono vederlo, anzi, questa violenza la considerano una civilissima virtù.

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La terribile competizione che si annida nel pretesto del voto necessario, della classificazione necessaria, del merito e del demerito conseguenti, della divisione tra buoni e cattivi

Cloud’s Walden

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