L’invisibile violenza della scuola.

Le persone non vedono la violenza della scuola, quella invisibile, strutturale, quella che inevitabilmente i bambini apprendono inconsciamente e riproducono, e riprodurranno. Le persone pensano che la scuola sia un semplice passaggio di informazioni da un adulto a un gruppo di bambini. Le persone non si chiedono se il gruppo di bambini abbia o meno voglia di stare chiusi in un’aula, fermi, zitti, ad ascoltare degli adulti per ore e delle lezioni noiose. Anzi, le persone pensano che i bambini abbiano bisogno di quelle lezioni, in quel momento preciso, in quel luogo preciso, e soprattutto in quel modo preciso, un modo autoritario che qualsiasi riforma non farebbe altro che riaffermare. Storia insegna. Le persone non si rendono conto che questo passaggio obbligatorio di informazioni obbligatorie è regolato soltanto dalla violenza e dall’infamia del ricatto, e che questo ricatto invisibile agli occhi verrà stampato nei comportamenti e nel carattere di ogni bambino. Dice il maestro: ‘o fai come ti dico io, nei tempi che decido io, oppure ti punisco con un brutto voto’. Cosa che si traduce inevitabilmente in un insegnamento di coercizione, un atteggiamento autoritario, che i bambini assimilano e riproducono, costruendo così la società che vediamo. Proviamo a far giocare dei bambini ‘alla scuola’, e vediamo come questi abbiano imparato perfettamente ad imitare non soltanto il cipiglio bruto del maestro, ma soprattutto a sottomettere con la minaccia tutti gli altri. Ma poi c’è il discorso della competizione. Le persone forse riescono anche a vederla questo tipo di violenza strutturale, ma non se ne curano, la pensano necessaria, se non fondamentale. La terribile competizione che si annida nel pretesto del voto necessario, della classificazione necessaria, del merito e del demerito conseguenti, della divisione tra buoni e cattivi. Premio e punizione, il sunto della scuola e della caserma militare! Un addestramento simile, in un’età in cui si è delle spugne, che cosa vogliamo che produca, se non una società di sbirri e autoritari, e pure molto infami e ipocriti? Ma no, per le persone questa non è violenza. Non è violenza neanche l’assillo di sentirsi sempre sotto sorveglianza, cosa che modifica terribilmente anche i movimenti dei bambini, la loro spontaneità, la gioia, la serenità interiore. Ma tanto, perché dovrebbero muoversi sti idioti? Non gli fa bene! Decidono gli adulti già scolarizzati per loro, e non asperttano altro sti adulti frustrati! Sorveglianza obbligatoria, competizione obbligatoria, noia obbligatoria, attenzione obbligatoria, e non solo a scuola. Ma cosa crediamo di ottenere da persone così violentate? Una società di giusti e solidali? Pace e serenità? Fratellanza? Sapete cosa me ne faccio io di un bambino che non sgarra le tabelline ma che ha già imparato a essere suddito con aspirazioni da despota? Un bel niente! No grazie, preferisco un analfabeta, ma so che sarà ancora umano e autodeterminato, in grado di dire no alle autorità. E con buona pace degli stolti, quelli che credono che senza la scuola ci sarebbe la dissoluzione totale dell’umanità (infatti le guerre le progettano gli analfabeti, si sa), io mi accodo con i più grandi pedagogisti e intanto affermo che studiare è molto diverso che apprendere, che apprendere veramente nasce da un istinto naturale che necessita di rapporti paritari e di libertà, sospinta dall’innata curiosità. Libertà di scegliere, ad esempio. Conosco gente che ha imparato più cose qui su internet, liberamente, per proprio piacere, per propria curiosità. e nei tempi che si è autoconcesso, che non in tutte le scuole frequentate, ed è gente che mi viene ancora a dire ‘se non ci fosse la scuola…’. Ma che cosa? Ma se pure gli operai analfabeti dell’Ottocento, in America, conoscevano i classici della letteratura meglio dei borghesi (Noam Chomsky) sospinti dall’innata voglia di imparare a leggere e poi di leggerseli davvero quei libri, e di capirli soprattutto, mica solo di arredarsi il salotto che non avevano neanche! Che poi uno prende un bambino non scolarizzato, lo osserva, e si accorge che è un continuo chiedersi le cose, e chiederle agli altri, e darsi risposte anche quando non le ottiene… parte tutto da lui, ed è felice, nessun obbligo, e farà così finché non andrà a scuola. Poi, una volta giunto a scuola, oltre a vedersi deresponsabilizzato in tutto, oppresso dall’obbligo e addestrato persino a riverire l’autorità, a credergli comunque e in ogni caso, il bambino a poco a poco smetterà di trovare piacere nel leggere, sarà annichilito persino nella sua voglia di inventare, di creare, di sognare, sarà snaturato, disumanizzato, e dovrà essere allineato, omologato, certificato, massificato, adattato, giudicato, valutato, timbrato. Ed ecco pronta la pecora votante di domani, il ‘prenditore di partito’, il produttore docile e rassegnato che non si incazza se non col suo compagno (magari straniero, o gay, o juventino, o chissacosa), che dice pure che un altro modo di vivere è impossibile e brutto (si vede che sta benissimo allora). Ma tutto questo, e purtroppo anche altro, che è di una violenza invisibile e indicibile, le persone non lo vedono, non vogliono vederlo, anzi, questa violenza la considerano una civilissima virtù.

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La terribile competizione che si annida nel pretesto del voto necessario, della classificazione necessaria, del merito e del demerito conseguenti, della divisione tra buoni e cattivi

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CARRARA- “Dovete andare a casa”.

CARRARA- "Dovete andare a casa".
A distanza di oltre 20 giorni di presidio permanente il sindaco e la giunta dopo le varie pressioni precedute da polemiche ottengono di rientrare in comune dove viene consentito loro di riunirsi nella sala consiliare dopo una trattativa con i presidianti riconoscendo l’assemblea.

Era l”8 Novembre quando i carrarini hanno detto basta. Dopo l’alluvione di 2 giorni prima ormai esausti della situazione si ritrovano sotto il comune e lo occupano.
A distanza di oltre 20 giorni di presidio permanente il sindaco e la giunta dopo le varie pressioni precedute da polemiche ottengono di rientrare in comune dove viene consentito loro di riunirsi nella sala consiliare dopo una trattativa con i presidianti riconoscendo l’assemblea. Alle 18 e 30 ha inizio il consiglio come proposto dall’assemblea e accettato dal primo cittadino chè si protrarrà fino alla mezzanotte circa,parlando pubblicamente, ci sono dei microfoni che diffondono alla cittadinanza quello che viene discusso in consiglio. Viene letto il comunicato dell’assemblea in cui vengono specificati tutti i punti contestati a sindaco e giunta e le loro mancanze e inadempienze verso il territorio e la cittadinanza,ma a poco è servito metterli di fronte alle loro responsabilità,non ci sentono,la sola cosa che riescono a dire é “siamo dispiaciuti”,la solita tiritera,i soliti discorsi di circostanza che da anni oramai siamo abituati a sentire da persone che si tutelano dietro le leggi della “democrazia”,dalle varie promesse del sindaco di porre rimedio in tempi brevi alle criticità ad una popolazione allo stremo stanca di essere presa in giro ad oltranza e che continua ad urlare a gran voce “dovete andare tutti a casa”. Ma a mio avviso,la vera ciliegina sulla torta è stato l’intervento del vice sindaco il quale ha affermato di essersi occupato del piano paesaggistico suscitando non poca indignazione tra i presenti,proprio lui che insieme a tutta la cricca si sono resi responsabili del più grande scempio d’Europa,la devastazione delle Alpi Apuane, vera polpa di Carrara. E’ stata molto incoraggiante la presenza della cittadinanza la quale ha finalmente aperto gli occhi dopo decenni di soprusi subiti la quale continuerà a presidiare la sala della resistenza del comune portando avanti l’assemblea cittadina formatasi immediatamente subito dopo l’alluvione continuando a lavorare per la città e a monitorare chi eventualmente verrà dopo questa giunta ormai con un piede fuori dalla porta.

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Campagna per la chiusura degli O.P.G

Il Manicomio Criminale (MC) come principale istituzione per l’esecuzione delle misure di sicurezza è stato introdotto nel 1876 e regolamentato nel 1930 con il Codice Rocco.
Nel 1891, con il Regio Decreto 1 febbraio 1891, n. 260 “Regolamento generale degli stabilimenti carcerari e dei riformatori governativi”, il Manicomio Criminale viene ridenominato Manicomio Giudiziario (MG), pur rimanendo sostanzialmente invariato.1
Nel 1975, con la Legge n. 354 “Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta” (legge Gozzini), il Manicomio Giudiziario (MG), viene ridenominato Ospedale Psichiatrico Giudiziario (OPG), pur rimanendo sostanzialmente invariato come principale istituzione per l’esecuzione delle misure di sicurezza.

Le riforme carcerarie del ’75-’86 e quelle psichiatriche del ’65-’78 hanno prodotto solo un cambiamento di definizione.
In tutti questi anni, mentre l’OPG è rimasto cristallizzato nella sua forma fascista, con la legge 180/1978 gli Ospedali Psichiatrici vengono lentamente smantellati e sostituiti da una serie di istituzioni (ospedali, case famiglia, comunità, ecc.) ed il ricovero coatto viene regolamentato e ridefinito come Trattamento Sanitario Obbligatorio in reparto psichiatrico.
Allo stesso modo le carceri vengono formalmente coinvolte in un processo di apertura, che paradossalmente conduce ad un allargamento della popolazione carceraria tramite un più ampio e capillare sistema di controllo esterno al carcere. Con la legge Gozzini le carceri si aprono alla società e si instaurano una serie di misure alternative all’internamento.

L’individualizzazione della pena, voluta dalla Gozzini, ha fatto sviluppare nell’ambito carcerario ipotesi sul soggetto criminale sempre più somiglianti alle pratiche psichiatriche sui “malati di mente”; infatti i percorsi rieducativi si confondono con quelli terapeutici e gli psicofarmaci si diffondono massicciamente anche in carcere2.

Negli anni ’70-’80 una rivoluzione culturale antisegregazionista si afferma sul piano legislativo, ma nella realtà rimangono inalterati il pregiudizio di pericolosità sociale del malato mentale e lo stigma del recluso.
Se nel tempo l’attenzione politica e legislativa si è spostata dalla malattia al malato, dalla pericolosità al disagio, e dalla punizione alla rieducazione, nella società i corpi degli psichiatrizzati e dei carcerati sono rimasti comunque esclusi e imprigionati.
Una nuova tecnologia del controllo sociale si diffonde: l’industria farmacologica sforna prodotti capaci, in alcuni casi, di sostituire le camicie di forza, i letti di contenzione e le sbarre.

Qual è e qual è stato il fondamento di tutte queste istituzioni deputate all’esecuzione delle misure di sicurezza?
E’ ed è sempre stato l’internamento di una persona giudicata socialmente pericolosa, cioè di una persona che potrebbe reiterare la stessa condotta in futuro.
In altre parole, si priva della libertà un individuo per quello che si suppone sia e non per quello che effettivamente fa.
Tale principio è un fondamento delle società autoritarie: non a caso è stato il fascismo a introdurre le misure di sicurezza, tra le quali rientra anche il confino.

LA SITUAZIONE OGGI

E’ del 30 maggio 2014 la Legge n°81 che converte il decreto legge del 31 marzo 2014 n°52 recante
disposizioni in materia di superamento degli Opg (Ospedali Psichiatrici Giudiziari).

Il decreto n° 52/2014 prevede la proroga dal 1° aprile 2014 al 31 marzo 2015 il termine per la chiusura degli OPG e la conseguente entrata in funzione delle REMS (Residenze per l’Esecuzione Misure Sicurezza).

Attualmente in Italia gli OPG presenti sono sei e si trovano ad Aversa, Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia, Castiglione delle Stiviere.
Ad oggi, in questi veri e propri manicomi criminali, ci sono rinchiuse circa 850 persone.
I dati nel trimestre 1 giugno/1 settembre 2014 segnalano: n. 84 ingressi contro n. 67 persone dimesse; quindi continuano nuovi ingressi, nonostante si debbano privilegiare le misure alternative al ricovero in OPG.

Come si finisce in un OPG? In Italia, in caso di reato, se vi sia sospetto di malattia mentale, il giudice ordina una perizia psichiatrica; se questa si conclude con un giudizio di incapacità di intendere e di volere dell’imputato, lo si proscioglie senza giudizio e se riconosciuto pericoloso socialmente, lo si avvia a un Ospedale Psichiatrico Giudiziario (articolo 88 c.p.) o in una struttura residenziale psichiatrica per periodi di tempo definiti o meno, in relazione alla pericolosità sociale.

Entrando nello specifico, il Decreto prevede l’eliminazione del cosiddetto ergastolo bianco, che consiste nell’indeterminatezza della durata dell’internamento.
Nelle future REMS la durata della misura di sicurezza non potrà essere superiore a quella della pena carceraria corrispondente al medesimo reato compiuto: ci preoccupiamo, pertanto, del fatto che le persone che hanno già scontato in OPG tale pena non finiscano nelle REMS, ma vengano liberati subito e senza condizioni.
Tuttavia la legge prevede, al momento della dimissione dagli OPG, percorsi e programmi terapeutico-riabilitativi individuali, predisposti dalle regioni attraverso i dipartimenti e i servizi di salute mentale delle proprie ASL.
Alla fine di tale percorso, qualora venga riscontrata una persistente pericolosità sociale, è comunque prevista la continuazione delle esecuzione della misura di sicurezza nelle REMS.
Tradotto significa l’inizio di un processo di reinserimento sociale infinito, promesso ma mai raggiunto, legato indissolubilmente a pratiche e sentieri coercitivi, obbligatori, contenitivi3.
Come ben ricorda Giorgio Antonucci, il manicomio non è una struttura, bensì un criterio; la continua ridenominazione di tali strutture sopra riportata, infatti, non può nascondere la medesima contraddizione di fondo: l’isolamento del soggetto dalla realtà sociale per la sua incapacità di adattamento nei confronti di un mondo su cui nessuno muove mai alcuna questione e che nessuno mette mai in discussione.
L’intervento diventa così a priori manipolativo.
Nella realtà, pertanto, è lo stesso obbligo a una perenne assistenza psichiatrica territoriale a configurarsi come un vero e proprio ergastolo bianco.
Noi crediamo, invece, nel bisogno e nella costituzione di reti sociali autogestite e di spazi sociali autonomi, in grado di garantire un sostegno materiale, una casa senza compromessi di invalidità, nonché un reddito e un lavoro non gestiti dai servizi socio-sanitari, bensì autonomamente dal soggetto.
Una rete in grado di riesumare e coltivare quel legame unico, antispecialistico e non orientato a una cura protocollare che, in nome della scienza, non lascia spazio all’uomo.
Quel legame sciolto dal discorso capitalistico, demiurgo di consumatori in solitario godimento.

IN ALTRE PAROLE…

Chiudere i manicomi criminali senza cambiare la legge che li sostiene vuol dire creare nuove strutture, forse più accoglienti, ma all’interno delle quali finirebbero sempre rinchiuse
persone giudicate incapaci d’ intendere e volere.
La questione, insomma, non può essere risolta con un tratto di penna, non è sufficiente stabilire che quello che è stato non deve più essere, e pensare che il problema si risolva da sé. È vero che per troppo tempo gli Opg sono stati un territorio dimenticato in cui ogni dignità e diritto sono annullatati ma ci sono da più di un secolo e mezzo e la legge che gli regola è del 1904.
Per abolire realmente gli OPG bisogna non riproporre i criteri e i modelli di custodia ma occorre metter mano a una riforma degli articoli del codice penale e di procedura penale che si riferiscono ai concetti di pericolosità sociale del “folle reo, di incapacità e di non imputabilità”, che determinano il percorso di invio agli Opg.
Viene ribadito, oltretutto, il collegamento inaccettabile cura-custodia riproponendo uno stigma manicomiale; dall’altro ci si collega a sistemi di sorveglianza e gestione esclusiva da parte degli psichiatri, ricostituendo in queste strutture tutte le caratteristiche dei manicomi. La proliferazione di residenze ad alta sorveglianza, dichiaratamente sanitarie, consegna agli psichiatri la responsabilità della custodia, ricostruendo in concreto il dispositivo cura-custodia, e quindi responsabilità penale del curante-custode.
La questione non è solo la chiusura di questi posti: non si tratta solo di chiudere una scatola, per aprirne tante altre più piccole. Il problema è superare il modello di internamento, è non riproporre gli stessi meccanismi e gli stessi dispositivi manicomiali. Il problema non è se sono grossi o piccoli, il problema è che cosa sono. Il manicomio non è solo una questione di dove lo fai, se c’è l’idea della persona come soggetto pericoloso che va isolato, dovunque lo sistemi sarà sempre un manicomio. Magari più bello, più pulito, ma la logica dominante sarà sempre quella dell’esclusione e non dell’inclusione.
La Legge 81/2014 con la misura di affidamento ai servizi sociali costituisce un passo in avanti nella riduzione delle misure reclusive totalizzanti, ma, mantenendo inalterato il concetto di pericolosità sociale, non cambia l’essenza della modalità di risoluzione della questione.
Nonostante sia previsto un maggiore contatto dell’individuo con la società, l’isolamento rimane all’interno dell’individuo attraverso trattamenti psicofarmacologici debilitanti che conducono a fenomeni di cronicizzazione.
Cambieranno i luoghi di reclusione, in strutture meno fatiscenti e più specializzate, ma allo stesso tempo ci sarà una gestione affidata al privato sociale, andando così incontro a fenomeni di allungamento della degenza per mantenere i finanziamenti, con una presa in carico vitalizia ad opera dei servizi psichiatrici.

Questa legge non soddisfa l’idea di un superamento di un sistema aberrante e coercitivo, infatti permangono misure di contenzione svilenti per l’individuo e trattamenti farmacologici troppo debilitanti e depersonalizzanti per poter essere definiti positivi per la persona.
Uno concreto percorso di superamento delle istituzioni totali passa necessariamente da uno sviluppo di una cultura non segregazionista, largamente diffusa, capace di praticare principi di libertà di solidarietà e di valorizzazione delle differenze umane contrapposti ai metodi repressivi e omologanti della psichiatria.

A cura di: RETE ANTIPSICHIATRICA

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La menzogna dell’uomo malvagio per natura.

Affermare che la natura dell’essere umano è malvagia in sé, oltre ad essere un grossolano errore di valutazione e di comprensione, un errore già ampiamente smontato, dovrebbe quantomeno supportare l’idea conseguente secondo cui consegnare il potere a una congrega di malvagi è la cosa più idiota che una comunità possa fare. Quelli che hanno mire di potere, di sterminio di popoli, di eugenetiche, cioè tutti quelli che ambiscono al dominio da 5000 anni a questa parte, non hanno fatto altro che instillare nelle masse la falsa cultura dell’uomo biologicamente malvagio.
Colui che crede a questi impostori profittatori e alla loro bugia dell’uomo malvagio, non fa altro che ammettere pubblicamente di essere biologicamente inferiore rispetto a colui che lo governa o che si candida a governarlo, e che quest’ultimo sia non soltanto geneticamente superiore a lui e a tutti gli altri, ma pure esente da malvagità. Praticamente un essere-non-umano. Quindi chi crede alla favola dell’uomo malvagio per natura non dovrebbe avere alcuna difficoltà ad ammettere di essere geneticamente inferiore rispetto ad ogni governante, e non può negare di ritenere ogni governante o aspirante tale una specie di dio-della-bontà, l’unico detentore della verità sul bene e il male. Se invece si ritiene che la conoscenza del bene e del male non sia solo appannaggio di pochi ‘eletti’, ma di tutti gli esseri umani in quanto tali, allora non si capisce per quale motivo si debba delegare il potere ad altri, dichiarandosi impotenti, sciocchi, deresponsabilizzati, inferiori, e perpetuando-legittimando così la macchina del dominio.
Ogni idea di dominio, compresa la favola della sua presunta necessità, viene inizialmente costruita sulla base di una credenza superstiziosa -dura a morire- secondo cui dovrebbe esistere un potere sovrannaturale che legittimerebbe o addirittura si incarnerebbe in quell’essere umano o in quel gruppo di profittatori organizzati che si presentano come salvatori e moralizzatori del popolo, cioè come addestratori di persone-animali cattivi e stolti.
Al tempo delle dittature monocratiche, i popoli ingenui e superstiziosi si sottomettevano al ‘sacro sovrano’ come fossero tanti devoti timorosi di un dio incarnato in un tizio seduto su un trono. Complice la casta sacerdotale, come oggi. Quando questa superstizione diventò solida e millenaria cultura dogmatica, e la favola dell’uomo malvagio diventò addirittura scienza al servizio del potere imposta in tutte le scuole del mondo, i popoli furono pronti ad eleggersi da soli i propri sfruttatori, e nacquero le cosiddette democrazie, che altro non sono che dittature, cinici e beffardi progetti di dominio dell’uomo sull’uomo approvati dalla massa opportunamente addestrata.
Ma non possiamo neanche cadere nell’errore opposto affermando che l’essere umano è biologicamente buono. Se così fosse, se la nostra biologia fosse sempre incline alla bontà, la nostra mente non riuscirebbe neppure a concepire l’idea del conflitto, quindi neppure della protesta. Dunque com’è l’essere umano? Sbaragliando finalmente e completamente ogni polarizzazione sul tema, nel dopoguerra siamo giunti alla conclusione che l’essere umano non è né buono né cattivo, ma che la ‘qualità cattiva’ emerge e prevale sulla ‘qualità buona’ soltanto attraverso un contesto espressamente progettato (struttura sociale), e una pedagogia formativa imposta capillarmente (cultura, cioè colonizzazione). Ma cambiare la struttura sociale e la sua cultura, al fine di ritrovare un essere umano in armonia con la natura, significa distruggere il paradigma imposto, tutto il consueto assunto come dogma indiscutibile, tutte le convinzioni, tutti gli automatismi culturali, tutti i valori di questa società mercantile, tutta questa realtà costruita sull’autoritarismo per il godimento di pochi marpioni che si passano il testimone da 5000 anni. Bisognerebbe tornare bambini non ancora scolarizzati, e rimanere tali nella coscienza, Pascoli docet.
Distruggere l’ideologia del dominio, della competizione, della cattiveria, della gerarchia, quindi abolire la guerra, i genocidi, i confini, le ingiustizie, lo stato stesso che ne è la causa. Ciò è possibile farlo, ma soltanto quando la massa tornerà ad essere un insieme di individui (basta cittadini!), cioè persone autodeterminate capaci di disubbidire, di disconoscere la cultura che hanno assorbito, e di ritrovarsi insieme nelle strade non più a competere e ad additarsi come forsennati, ma a solidarizzare e indirizzare ogni decisione sulla via antiautoritaria, libertaria. Si tratta di fare tutto l’opposto di quel che le masse fanno da cinque millenni, e che la scuola insegna loro a fare, compreso a difendere la scuola, e a credere stupidamente che l’essere umano sia cattivo per natura.

Cloud’s Walden

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La menzogna dell’uomo malvagio per natura.

Paul Gaugin Chi siamo,dove andiamo,da dove veniamo

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I carrarini resistono.

Inizia una settimana molto importante per i carrarini che hanno occupato il comune presidiandolo fino ad oggi. Sono al diciannovesimo giorno ma con un entusiasmo ed una voglia di cambiare che riporta la memoria al lontano 1894 quando i carrarini unitamente ai lunigianesi in concomitanza con i siciliani insorgono contro un potere autoritario e abusivista. Il sindaco tramite la stampa rilascia interviste e fa sapere che il presidio non può durare ad oltranza e chiede di interloquire con i presidianti. Ma cosa avranno mai da chiedere al sindaco o a chi per esso dopo essere stati ingannati loro stessi ad oltranza? La risposta sta nello scopo della protesta, se ne deve andare lui con tutti i suoi scagnozzi e a poco servono le varie scuse avanzate dallo stesso sindaco che dichiara che quella sala deve essere sgomberata perché dovrà ospitare eventi e matrimoni. A nostro modo di vedere le parole del sindaco suonano autoritarie,quelle parole di chi riveste un ruolo istituzionale e vede tutto questo un affronto personale e lo si evince dalle interviste precedenti già divulgate dalla stampa dove dichiara di non volersene andare perché mai come in questo momento si sente di dover restare ribadendo di essere un uomo dello stato. Parole pesanti le sue,parole che fanno pensare anche ad una risoluzione coatta “democratica” come quelle che siamo abituati a vedere negli ultimi 70 anni da quella democrazia pronta a far vibrare il bastone non appena si scende in piazza a rivendicare i propri diritti che però sulla carta ti consente di farlo. Ma,l’entusiasmo dei carrarini è forte e in crescita come hanno dimostrato con la presenza di Sabato dove in piazza sono scese oltre 2000 persone e non molleranno facilmente la presa, continueranno a presidiare la sala garantendo come hanno promesso e fatto dall’inizio il regolare svolgimento delle attività comunali e perché no, saranno lieti di lasciare spazio ad eventuali matrimoni in programma. Quindi cosa rispondere al sindaco? Il silenzio parlerà da solo, le parole i carrarini le hanno finite.

Ale.

Carrara Gennaio 1894. “Il sindaco della città – il repubblicano Ratto – non esita ad invocare a gran voce l’invio di truppa, che avviene immediatamente, e la città è posta sotto stato d’assedio fin dal giorno seguente, al comando del generale Heusch dietro decreto di Crispi, prontamente firmato da Umberto I. Gli alpini cominciano ad operare rastrellamenti ed arresti in massa, accanendosi in particolare sulle liste di “sovversivi” fornite dalle autorità di pubblica sicurezza. Il lunedì i fermati sono già molte centinaia e i cavatori esortano l’insieme dei lavoratori a non riprendere il lavoro”. (Nexus co.)heusch_stato_assedio

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Carrara. Gli anarchici scendono in piazza.

Dopo l’alluvione del Giovedì 6 Novembre i Carrarini occupano il comune dove inizia una turnazione per la permanenza,danno vita ad un’assemblea permanente dove vengono portate alla luce tutte le criticità a cui le istituzioni finora sono venute meno dando origine a tavoli di discussione e di lavoro. Per oggi 22 Novembre l’assemblea stessa unico organo decisionale ha organizzato una manifestazione per le dimissioni di sindaco e giunta. Ma potevano forse mancare gli anarchici a Carrara? No di certo,ed eccoli spuntare in coda ad un corteo per rappresentare gli ultimi,gli sfruttati e gli oppressi dal sistema. Agli anarchici poco importa delle dimissioni chieste a gran voce dalla cittadinanza,sanno benissimo che purtroppo morto un papa ne viene un’altro. La loro presenza é come sempre rivolta alle ingiustizie create da un sistema che affama e sfrutta. Si tagliano le pensioni,si licenzia,si rubano soldi alla comunità attraverso tasse sempre più esose per poi costruire opere inutili con un dispendio di denaro che si ripercuote sulla stessa comunità.
La risposta degli anarchici non si è fatta attendere,infatti molti da diverse città si sono riuniti chi tenendo uno striscione,chi mescolandosi nel corteo per protestare contro le devastazioni ambientali e contro un sistema che affama e sfrutta. Inutile dire che la loro presenza ha infastidito qualche lecchino di partito pronto a proporsi come probabile sostituto per posare il culo sugli scranni del comune qualora giunta e sindaco dovessero cadere o dimettersi, ma a questo gli anarchici sono abituati e non perdono certo di vista il loro obbiettivo finale, quello della liberazione dal dominio dell’uomo sugli oppressi e sugli sfruttati.
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Crolla il muro del silenzio.

C’è voluta la classica goccia a far traboccare il vaso. Giovedì 6 Novembre su Carrara imperversa una pioggia fittissima che trasforma il torrente Carrione in un fiume impetuoso con conseguenze devastanti. Dopo l’alluvione del 2003 venne costruito un muro di contenimento ma solo da quel Giovedì si scoprirà che quel muro era stato costruito con del polistirolo e accuratamente intonacato per farlo sembrare simile al cemento. Nonostante le ripetute segnalazioni della cittadinanza mai prese in considerazione sulle perdite d’acqua del muro il sindaco e la giunta comunale non si ritengono in alcun modo responsabili. Queste sono state le parole del sindaco che Sabato mattina hanno suscitato la reazione dei carrarini i quali stanchi e minacciati delle loro vite invadono il comune e decidono di costituire un presidio permanente chiedendo le immediate dimissioni di sindaco e giunta in quanto incapaci di gestire il territorio. Di comune accordo è stato deciso di riunirsi quotidianamente in una assemblea popolare unico organo decisionale dando origine a gruppi e tavoli di lavoro per mettere in luce tutte le criticità del territorio e che questo sia d’esempio per tutto il resto della cittadinanza la quale è invitata a denunciare ogni irregolarità e a partecipare attivamente alla vita e alla politica collettiva della città. La sala della resistenza del comune è presidiata giorno e notte dai cittadini che si avvicendano per la turnazione. Ci auspichiamo che questo sia d’esempio anche per molte altre città che purtroppo in questi giorni hanno dovuto fare i conti con le alluvioni dovute alla malagestione dei territori da parte dei comuni. Inutile dire che movimenti e partituncoli stiano cercando di cavalcare l’onda del fango,lasciamoli fare, ma, la risposta dell’assemblea ci lascia ben sperare essendo convinta di poter autogestire la lotta. La popolazione ormai stufa sia per le problematiche legate al lavoro che manca e delle tasse sempre più alte ed ingiuste insieme a quel muro ha fatto crollare anche il muro di omertà lasciandoci ben sperare. Dove vuole arrivare? Chi vivrà vedrà.carrara0121-600x300

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