All’arrembaggio (ovvero le “nuove” frontiere della moda di lusso ecosostenibile)

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In questi giorni pagine seguite di facebook e siti noti stanno svenendo simultaneamente da un orgasmo collettivo. Le notizie di per sè sono una cazzata, un’attrice giovane e sensuale americana sta lanciando sul mercato una linea di prodotti per la cosmetica; rossetti, ombretti, matite colorate, ciprie alla melanzana tutti rigorosamente Vegan, dall’altra parte del mondo in italia, un’imprenditore ha creato i piumini cruelty free, o per essere più alla moda li chiameremo eco friendly e li presenterà a firenze alla kermesse di pitti uomo. In una intervista la bella attrice americana ha detto che i suoi collaboratori (l’azienda cosmetica J. B.) hanno dovuto lavorare parecchio per creare un mascara perfetto senza l’ausilio del petrolio, una bella faticaccia, posso immaginarlo. Circa trenta prodotti cosmetici, con il viso dell’attrice, assolutamente controllabili e rintracciabili stanno per sbarcare nel vecchio continente. Generalmente queste novità non mi interessano minimamente, probabilmente non ne sarei neanche venuto a conoscenza, ma caso vuole che ogni tanto vado su pagine vegane per curiosità. E’un terremoto di commenti, di grida di gioia, di attese spasmodiche frementi, si arriva a dire che questa attrice salverà il mondo, i suoi prodotti sono unici, ecocompatibili, ecosostenibili, ecoeconomici, il piumino nostrano e’ un colpo di genio, una novità assoluta. Pagine vegane antispeciste che in teoria dovrebbero sviluppare una certa critica si sciolgono nelle mutande. Cosi mi tocca rompere le uova nel paniere (metaforicamente) e fare l’antipatico per uscire da questo meraviglioso incubo da cinepanettone. L’attrice in questione, come tutte le celebrità dello spettacolo assurdo del nulla, delle sfilate di avorio luccicanti che coprono crimini in zone povere del pianeta, delle cene sfarzose per raccogliere fondi, mai destinati, a popolazioni che crepano per la responsabilità dei regnanti seduti a quegli stessi tavoli, si veste in abiti sexy, di seta o cashmere o cotone di prima qualità, eleganti e perfetti, tutti “made in povertà” di una perfezione quasi maniacale, le cuciture sono fatte a mano, poiche’ la macchina da cucire svilerebbe tanta arte. Aziende come prada, gucci, moncler, armani, gap, H&M, Joe fresh, benetton, marks & spencer, walmart, dolce e gabbana e decine di altre che evito di scrivere se no non bastano cinquanta pagine sono direttamente o indirettamente responsabili dell’utilizzo (ora alcune sono corse ai ripari per la figuraccia planetaria, ma mai fidarsi dei colossi della moda) dello sfruttamento minorile in cambogia, vietnam, mongolia, bangladesh (per menzionare i paesi piu’ colpiti, ma la schiavitù minorile e’ estesa anche ad altri luoghi). Schiavi di nove-dieci anni, lavorano ancora oggi immersi fino alle caviglie da agenti chimici terribili che servono per decolorare i pantaloni e renderli fichi per poi venderli nei negozi del centro di milano o roma o firenze o decidete voi una città qualsiasi del globo. Mutilati muoiono cechi, con i polmoni in fiamme, le dita devastate dal contatto e non lo dico io, lo dicono associazioni come save the children, l’unicef o come clean clothes attiva in bangladesh. Lo ricordate il crollo di Rana Plaza a Dacca vero? piu’ di mille ragazzi sono morti sotto le macerie, vi ricordate i nomi delle aziende italiane e americane dell’alta moda che guadagnavano per quella schiavitù? le stesse aziende che poi vestono i vostri beniamini del cinema che presenziano sempre nelle passerelle di moda. Io non ce l’ho con questa attrice e neanche con imprenditori che fanno passare un piumino senza piume d’oca come una novità mondiale, quando ci sono aziende che da 20 anni lo fanno, anzi 30, anche perche’ fino a ieri manco sapevo chi erano. Se la signora del cinema se ne fotte della provenienza dei vestiti che indossa non e’ un problema (piu’ o meno) se non della sua coscienza, ma che moltitudini di individui in rete che si rifanno al rispetto e all’etica si facciano infinocchiare inconsapevolmente o peggio consapevolmente mi fa incazzare parecchio. Solo perche’ quel rossetto da trenta euro non e’ testato sugli animali (poi la plastica che li contiene non e’ mai ovviamente menzionata) e’ sufficiente per osannarlo? si ferma qui la vostra visione di antispecismo? basta un’attrice famosa con un bel culo a rendervi incapaci di intendere e volere? Non c’e’ libertà finchè anche un solo animale rimane in condizione di schiavitù, e guarda caso anche gli esseri umani sono animali. Se proprio vogliamo truccarci (che non c’e’ niente di male) per diventare superbellicalifragilistichespiralidosi prendiamo le radici di robbia fresche e facciamoci un rossetto gratis non testato su nessun animale, usciamo all’aperto col vento e vedrete se non ci vengono le gote rosse come un pomodoro, usiamo il carbone vegetale (ma se ne puo’ fare a meno risulterà meno nero) mischiato al mallo di noci facciamolo sciogliere nell’acqua, poi seccare e con un pennellino bagnato creamoci il famoso mascara, che non sara’ come il chimicone dell’azienda americana ecofenomenale ma fa il suo lavoro e soprattutto non arrichisce figure gia’ privilegiate che adottano metodologie preconfezionate. Non sara’ certo la noia di una miliardaria che vuole apparire salvatrice degli animali a convincerci ad acquistare i suoi rossetti. Pare che il logo di questi prodotti non sia stato ancora assegnato, alcuni dicono che sarà un gattino stilizzato, che tenerezza…

Olmo

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