IL CARCERE E IL SUO DOPPIO

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…Uno dei posti dell’orrido in cui ci si può imbattere in questo paese è l’OPG, sigla che sta per Ospedale Psichiatrico Giudiziario, un posto infame che non è ne ospedale ne psichiatrico e soprattutto giudiziario. In realtà è un manicomio criminale, anzi un carcere in tutto e per tutto trasformato in manicomio, anzi meglio ancora è peggio di un carcere ed un manicomio messo insieme, diciamo che si tratta della più orribile deriva della psichiatria italiana.
Ci sono stato dentro per due anni, venni trasferito da un carcere normale in quell’inferno senza via di ritorno.
Ad entrarci si fa presto, è necessario un foglio di carta, una perizia psichiatrica che nel mio caso fu redatta dopo due incontri in carcere, due colloqui per un totale di mezz’ora, tant’è che bastarono a dichiararmi totalmente infermo di mente, sofferente di tre o quattro disturbi, che poi nessuno ha confermato, ed infine pericoloso per la società.
Per uscirne però non è affatto facile, anzi nel più dei casi è impossibile.
Come la mia detenzione non sia diventata un cosiddetto “ergastolo bianco” è solo un caso fortuito, misto alla mia determinazione ed all’interessamento di persone che hanno fatto di tutto per farmi uscire di la. E’ stato come aver vinto una lotteria, che quella volta era toccata a me. Uscire fisicamente dall’OPG non vuol dire però essere usciti da quel pacchetto medico-legale che è la pericolosità sociale, diciamo che si è a metà dell’opera, bisogna completare a quel punto tutto il percorso riabilitativo. Un percorso degno di un romanzo di Kafka, dentro un castello burocratico fatto di relazioni, revoche, colloqui psichiatrici, notifiche e permessi, tanti permessi.
Ho dipeso dalla comunità nella quale risiedevo, dal CPS dove andavo a fare i colloqui, dal UEPE e chi più ne ha più ne metta. Si perché nel nostro paese chi commette un reato rischia il carcere, chi invece al momento del reato presenta storture dal punto di vista psichico o soffre di patologie psichiatriche rischia un altro trattamento all’interno appunto di questi manicomi. Quindi la giustizia si sdoppia, tutto si sdoppia, diventa un percorso con due direzioni parallele dove bisogna fare attenzione che una delle due non prevalga.
Devo dire però che dopo tre anni sono riuscito ad uscire da quell’incubo in carta bollata, ed è evidente che sono soddisfatto, ma non posso essere felice, perché non si può provare gioia nel cuore sapendo che centinaia di persone con la mia situazione sono ancora rinchiuse e probabilmente ci rimarranno ancora per tanti anni. Non posso dirmi contento, perché ho ancora nella mente il ricordo degli sguardi dietro le sbarre degli altri detenuti, sguardi di felicità mista a rabbia, invidia e rassegnazione, con quel velo opaco che gli psicofarmaci lasciano sugli occhi.
La ragione della loro permanenza eterna in OPG è dovuta al fatto che nessuno all’esterno vuole occuparsi di loro, dare la disponibilità ed un posto in comunità per questi uomini che hanno avuto la colpa di aver commesso un reato risibile tanti anni fa ma bollati però dal marchio infamante della follia, sembra costino tanto, perché ovviamente hanno bisogno di un “percorso doppio”, si definiscono infatti “doppie diagnosi”. Mentre in altri casi si tratta solo di uomini che hanno vissuto sempre in un manicomio, uomini istituzionalizzati ormai, un esercito di “anormali” come li definiva Foucault, un esercito che nessuno vuole.
Il loro destino come il mio d’altronde, è legato ad una relazione psichiatrica, a delle parole scritte, che hanno però tanto peso da poter ribaltare una condizione umana.
Quando a fine percorso mi rifiutai di fare ancora colloqui con lo psichiatra della comunità rischiai di buttare a mare tutto quello che avevo conquistato, ma siccome il mio percorso era stato impeccabile il medico non potè provare il brivido di affibbiarmi quei paroloni di cui è pieno il DSM, ma dovette accontentarsi di definirmi “megalomane”.
Racconto un episodio che rende bene l’idea del peso delle parole scritte da costoro Ero in camera di consiglio per la terza volta a dover riesaminare la pericolosità sociale, di fronte avevo il pubblico ministero ed il cancelliere ed a fianco l’operatore della comunità mentre il magistrato davanti a me leggeva la relazione. Leggeva con soddisfazione i meriti ed i progressi che vi erano scritti, mentre il pubblico ministero attentissimo faceva dei cenni di soddisfazione verso di me. Ad un certo punto il giudice si trovò a pronunciare la parola megalomane, si fermò di botto, come per tirare il fiato, si guardarono tra di loro negli occhi, il giudice al pubblico ministero il cancelliere ad entrambi ed entrambi all’operatore che sembrava stupito, insieme rivolsero tutti i loro sguardi verso di me, passarono dieci secondi di silenzio, mentre ero seduto nella posizione di chi è a disagio, ingobbito per l’avere sulla testa un macigno che qualsiasi cosa avrebbe potuto far cadere sul mio capo. Il giudice ad un certo punto riparti con la lettura, col tono di un “andiamo avanti che è meglio”. L’esito fu la revoca definitiva di quell’infamante misura di sicurezza.
In meno di mezz’ora mi ritrovai a non essere più pericoloso per la società, e nemmeno più infermo di mente.
Una volta lo psichiatra mi disse ” ma tu non pensi di avere una personalità doppia, non credi che a volte dentro di te ci sia una voce che ti dice di fare cose diverse dal normale?” Gli risposi “dottore io purtroppo un doppio non me lo posso permettere, io in tutti questi anni più che sdoppiarmi ho dovuto assottigliarmi, dimezzarmi, diventare dello spessore di un foglio di carta che riesce a passare sotto una porta, un foglio di carta sul quale chiunque a seconda della sua specializzazione, può scrivere qualcosa”
Quando si dice il “potere psichiatrico” si parla di cose del genere, di un inferno dentro al quale lo psichiatra può fare il bello ed il cattivo tempo, è per questo che io dico sempre “se hai a che fare con una persona che si qualifica con qualcosa che inizia con psico, sia esso psicologo, psichiatra ecc, non stringergli la mano ma guardalo dritto negli occhi perché probabilmente hai di fronte un mascalzone che mira a tenerti in pugno!”.

Pubblico l’articolo ovviamente con il consenso dell’interessato.

Di: Alfonso Nacchia

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