Dopo Milano. Discutiamo di teoria e di strategia

NoExpo-200x200Esaltazione dello spettacolino

Alcune compagne e compagni sono ora nelle mani del nemico. Oltre a batterci per la loro immediata liberazione, credo sia importante interrogarsi sul dibattito che si è sviluppato dopo la manifestazione del Primo Maggio a Milano.

Quelli che hanno messo su lo spettacolino a Milano hanno trovato degli esaltatori, pronti ad entusiasmarsi per l’acre odore dei lacrimogeni o per il fumo di qualche fuoristrada. Il fatto che il tutto sia durato cinque minuti, che sia finito con il rapido sbandamento dei protagonisti ed abbia provocato un lungo ritardo del grosso del corteo che comunque è riuscito a terminare il proprio percorso li lascia indifferenti.

Impatto mediatico

Uno degli argomenti usati dagli entusiasti è l’impatto mediatico degli scontri. Quanto avvenuto a Milano, per quanto ampliato oltre misura dalle veline di questura e dagli organi di informazione che ad esse si adeguano, ha oscurato l’inaugurazione dell’Expo: gli incidenti hanno occupato le prime pagine per tre giorni; gli scontri del sabato pomeriggio hanno rovesciato di significato il valore simbolico della giornata. Si tratta di spettacolo, ma è attraverso lo spettacolo che emergono i contenuti nel XXI secolo. In questo caso, sembra proprio che il fine giustifichi i mezzi.

Il fine giustifica i mezzi, è un luogo comune, ma non vuol dire niente se non conosciamo il fine che vogliamo raggiungere né l’alternativa fra i mezzi che possiamo usare. Se l’obiettivo era farsi notare dai media mainstream, possiamo dire che l’obiettivo è stato raggiunto, e il mezzo usato è stato coerente con il fine. Ma è pericoloso voler piacere ai mezzi di comunicazione borghese, vuol dire, poco a poco, rinunciare alle pratiche e ai contenuti che caratterizzano un movimento rivoluzionario e calarsi sempre più nel ruolo che ti hanno ritagliato le classi dominanti, rinchiudendoti in un vicolo cieco. Il movimento anarchico si trova spesso in situazioni del genere, così come giungono fra le sue file neofiti entusiasti, non per la propaganda che facciamo, ma per quello che questure e mass media raccontano su di noi. Questo è indubbiamente un nostro limite, ma c ideve spingere non ad adattarci a quel ruolo, ma a migliorare la comunicazione, la formazione e l’organizzazione; perché spetta innanzi tutto agli anarchici dire che cosa vogliamo e come lo vogliamo raggiungere.

D’altra parte, non è vero che il fine giustifica i mezzi: chi sbaglia strada, non va dove vuole andare, ma dove lo porta la strada che ha preso.

Il paragone con lo spettacolo dice forse di più di quello che gli autori vorrebbero dire: lo spettacolo prevede un palcoscenico, con degli attori, che interpretano una finzione, e un pubblico, che si limita ad applaudire o a fischiare. Si tratta di un rapporto a senso unico, in cui il pubblico può solo fare il tifo; si tratta di un rapporto autoritario. Gli anarchici vogliono che il “pubblico”, i cittadini, i ceti popolari, gli sfruttati, come preferiamo chiamarli, diventino dei soggetti, dei protagonisti, e non si limitino a fare il tifo per le varie fazioni in lotta.

Gli anarchici devono in primo luogo fare la loro propaganda, risvegliare nei ceti popolari l’aspirazione ad una radicale traformazione sociale, preparare le forze materiali e morali necessarie a vincere le forze nemiche, ma non possono limitarsi alla sola propaganda. I movimenti di massa, le varie componenti delle masse sfruttate devono pretendere, imporre, prendere da sé tutte le libertà che desiderano, man mano che giungono a desiderarle ed hanno la forza per imporsi: gli anarchici, propagandando sempre tutto intero il proprio programma e lottando per la sua attuazione immediata ed integrale, devono spingere il popolo a pretendere ed imporre sempre di più. In tutto questo, che c’entra lo spettacolo? Il popolo spettatore mi sembra molto vicino al popolo elettore.

Le buone pratiche: che cosa significa essere autoritari?

Ecco che cosa significa essere libertari: la differenza fra libertari e autoritari non è immediatamente sovrapponibile a quella tra riformisti e rivoluzionari. Chi ha visto all’opera il servizio d’ordine del PCI o della CGIL, impegnati a frenare ogni spinta conflittuale dal basso, sa bene che l’accusa di autoritarismo si accompagna facilmente a quella di riformismo. Del resto abbiamo visto prima come l’esaltazione dello spettacolino, e di ogni spettacolo in genere, abbia un’implicita valenza autoritaria. Già al tempo della rottura con Marx ed i suoi seguaci, gli anarchici denunciarono l’inevitabile involuzione riformista dell’autoritarismo; questa previsione fu confermata dagli stessi discepoli diretti di Carlo Marx e dalla degenerazione riformista, interclassista e collaborazionista dei partiti parlamentari da loro fondati.

Del resto, parlare di violenza a proposito degli incidenti di Milano è esagerato: una testa spaccata è violenza, ed è quello che è successo a Bologna a chi protestava contro la “buona scuola”, bruciare una macchina o spaccare una vetrina molto meno. Tutta questa società è violenta, una violenza funzionale al mantenimento dei privilegi delle classi dominanti, basati sulla proprietà privata dei mezzi di produzione. L’Expo è violenza, è devastazione dei territori e della città, che viene modellata secondo le esigenze delle multinazionali che hanno la propria vetrina ad Expo. L’Expo è saccheggio, è furto del pubblico denaro destinato ad alimentare le clientele dei politici, quei comitati elettorali che sostengono questo o quel candidato sulla base dei vantaggi economici che ricevono, vantaggi che paghiamo tutti noi con l’aumento delle tasse, con i tagli dei servizi sociali, dell’assistenza, delle pensioni. Quando parliamo di Milano dovremmo avere ben presenti questi elementi.

Ma la rivoluzione non si costruisce sulle barricate. Noi vogliamo costruire un mondo nuovo, e per questo deve essere chiaro come vogliamo arrivarci. La critica dell’esistente non è semplicemente un giudizio morale, è l’individuazione di quelle forze sociali che possono operare il cambiamento, quegli aspetti che costituiscono un germe della nuova società in quella moribonda. Ecco che allora la teoria rivoluzionaria offre agli sfruttati gli strumenti che permettono la distruzione dell’ideologia dominante e, attraverso la distruzione diquesta ideologia, preparano la strada che ci permetta di raggiungere una società senza sfruttamento né oppressione. Più importante della barricata è l’ideale, che trasforma i ribelli in rivoluzionari, e la solidarietà, che porrà fine al conflitto imposto dai capitalisti e dai governi.

Tiziano Antonelli

pubbicato sul n.18 di Umanità Nova

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