I perché del non voto.

Il non-voto non deriva da inettitudine o qualunquismo, è disobbedienza civile.
Votare significa comunque accettare di far parte di un certo sistema sociale, politico ed economico. Chi accetta questo sistema, e vorrebbe solo che a governare ci fossero persone più oneste, più capaci, più interessate al bene della res-publica, fa bene ad andare a votare. Chi non accetta questo sistema – e non lo accetta radicalmente in quanto funzionale al mantenimento dello status quo che fonda essenzialmente la sua sopravvivenza nel capitalismo, e in definitiva nella riduzione dell’individuo a merce (anche il voto è merce di scambio) – dovrebbe astenersi.
Il non-voto è un rifiuto dei concetti di istituzioni – all’interno delle quali si esercita il potere sui corpi e sulle menti – e della delega. Per di più l’attuale sistema elettorale non solo consente di delegare altre/i a decidere cosa sia giusto per la collettività, ma anche di eleggere persone senza alcun merito se in grado di ottenere consenso popolare grazie all’appoggio dei media. Se ritenete che tutto ciò sia accettabile perché pensate che sia il minore dei mali possibili, fate bene a recarvi alle urne, ma non giudicate come qualunquista, inetta/o o priva/o di coscienza civica chi decide di astenersi (questo sì di qualunquismo), perché dietro al non-voto possono esserci ragioni ben precise, e non solo disaffezione o mancanza di coscienza civica.

Il non-voto spesso non è una strategia, ma appunto il rifiuto di partecipare al gioco della democrazia rappresentativa che toglie alla persona il suo diritto all’autodeterminazione, deresponsabilizzandola.
Il non-voto potrebbe essere considerato alla stessa stregua dell’essere vegan: non si tratta tanto di credere che diventare vegan possa essere una forma di protesta sufficiente ad abolire gli allevamenti, ma di esprimere pubblicamente, quindi politicamente, il proprio rifiuto di partecipare a un sistema che sfrutta l’individuo, poiché lo considera per l’appunto merce, diverso o inferiore. In quanto alla “coscienza civica”, ci son ben altre maniere di esprimerla che non attraverso il voto. Anzi, sovente il voto, proprio nell’automatismo della delega, fa sì che poi ci si astenga dal partecipare a determinate azioni collettive per risolvere determinati problemi, proprio nell’illusione che spetti alle persone elette svolgere e occuparsi di determinate problematiche.
Il non-voto è proprio il rifiuto dell’attesa che arrivino altre/i a risolvere i problemi, problemi della collettività e che quindi non possono che riguardare ogni individuo in prima persona. Coscienza civica ad esempio è attivarsi in prima persona per ridurre l’inquinamento e la devastazione del pianeta, senza attendere che lo Stato emani determinate leggi anti-inquinamento. Nel rifiuto di votare è altresì implicito il rifiuto a essere interpellati e chiamati a svolgere un ruolo all’interno di un gioco le cui regole sono però già predefinite, e che consente solo determinate mosse: votare una schieramento piuttosto che un altro sulla base di programmi e riforme che non consentono un reale cambiamento, in quanto sempre interne al sistema, incapaci, per così dire, di immaginare una società in cui realmente la libertà dell’individuo comincia non dove finisce quella dell’altro, ma dove anche quella dell’altro ha inizio; una società dove non sussistano limitazioni, prescrizioni o divieti, ma azioni sinergiche capaci di portare a compimento le potenzialità di ognuna/o di noi. Per realizzare questa che parrebbe superficialmente un’utopia, basterebbe eliminare l’ostacolo che impedisce l’acquisizione di una vera coscienza critica, e l’ostacolo è proprio l’attuale sistema basato su una scala di poteri: poteri istituzionali che avvolgono e incanalano le potenzialità individuali solo in determinate direzioni (si viene formati a essere membri di uno Stato, e non individui che vivono nel mondo insieme agli altri), poteri mediatici che obnubilano le menti impedendo l’accesso a una reale conoscenza: si subissano le persone di informazioni inutili. Si castra all’origine la messa in discussione dell’attuale stato delle cose, si “normalizza” e “naturalizza” ciò che è funzionale al mantenere la sperequazione sociale. e quindi il meccanismo che permette l’accumulo di ricchezze nelle mani di pochi grazie allo sfruttamento – psicologico e materiale – dei molti poteri di delega che, come già accennato sopra, deresponsabilizza l’individuo convincendolo che il mondo e le società siano enti astratti immodificabili nel tempo, e che non possa autodeterminarsi.
La legge del più forte è frutto di questo sistema e della società che ne deriva. Che l’Animale umano non sia capace di autorappresentarsi in maniera diretta, è frutto di una cultura millenaria in cui orizzonti altri sono stati appositamente e artificiosamente preclusi, proprio per impedire ciò e per mantenere il controllo di poche persone su molte. La prima mossa per decostruire ciò che non ci piace, è smettere di alimentare ciò che la tiene in vita. Vivere secondo principi etici e non secondo ragioni di utilitarismo economico significa anche fare una cosa in vista di un certo traguardo (l’astensione del voto, per esempio), pur sapendo che inizialmente non porterà al traguardo prefisso, ma consapevoli che si tratti di una prima mossa veramente inedita.

Rita Ciatti Fonte: Veganzettaintersections

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