Perché gli esseri umani lavorano? A quale scopo?

La risposta è semplice. Se l’uomo ha strofinato a lungo due pezzi di legno uno contro l’altro, se ha tagliato una selce, se l’ha usata per ore contro la polvere, era per ottenere il fuoco, per ottenere un’arma, o magari uno strumento.
Se ha abbattuto alberi, era per costruirsi una capanna; se ha intrecciato fibre vegetali, era per modellare dei vestiti o delle reti.
Tutti i suoi gesti erano gesti utili.
Quando la semplicità dei suoi gusti, e anche l’orizzonte necessariamente limitato dei suoi desideri, gli ebbero procurato del tempo libero, a seguito della sua destrezza e dei mezzi scoperti da lui e dai suoi simili, ha trovato buona cosa fare dei gesti la cui utilità non era così evidente, ma che gli procuravano una quantità di piaceri che non ritenne trascurabile. Diede alla pietra le forme che gli piacevano; tracciò sul legno le immagini che lo avevano colpito.
In ogni caso, i gesti che faceva, necessari per i suoi bisogni immediati o necessari per i suoi piaceri, erano gesti di cui non contestava l’utilità; del resto, era padronissimo di non fare quelli del secondo tipo.
Attraverso quali vie l’uomo di allora che lavorava il corno di renna, volontariamente, per il proprio piacere, sia giunto all’uomo di oggi che lavora l’avorio per forza, per il piacere degli altri, non cercherò di descriverlo.
Per migliaia di uomini, i gesti piacevoli fatti volontariamente sono diventati un «mestiere», senza il quale non possono vivere. I gesti che servivano ad abbellire il loro ambiente sono diventati una condizione inevitabile di vita. I gesti che facevano per affinare i sensi, ora li indeboliscono, usurandoli prematuramente.
Gli altri uomini sono quindi costretti a fare i gesti necessari per mantenere la vita sociale, e usano la loro forza per quegli stessi gesti. Lavorano per coloro che fanno «mestiere» di gesti piacevoli, per coloro che vivono nell’attività assoluta a seguito di un malinteso sociale.
Coloro che non lavorano, aberrazione completa, straordinaria, fanno controllare a loro profitto il lavoro utile o piacevole degli altri. E questo servizio di controllo aumenta il numero di persone che non fanno un lavoro utile, e nemmeno piacevole. Pertanto, aumenta la quota di lavoro degli altri.
Il cervello ha un bello sforzarsi di continuo allo scopo di migliorare il lavoro del corpo, fare continue scoperte, costanti invenzioni, il risultato è quasi zero, il numero di intermediari, di controllori, di inutili, aumenta in proporzione.
Una specie di follia finisce con l’impadronirsi del mondo. Si arriva a preferire, ai gesti di prima utilità, i gesti piacevoli o persino quelli puramente inutili. Chi non ha mangiato nulla, o assai poco, si farà fare dei biglietti da visita. Chi non avrà la camicia, indosserà colletti dal candore immacolato. Quante sciocchezze generate dai pregiudizi e dall’imbecille vanità degli individui!
A seguito di una forza puramente fittizia, si usano le proprie qualità a vanvera.
Uomini, il cui interno è nero e sporco, dipingeranno di smalto la facciata; altri, i cui bambini non possono andare a scuola, comporranno o stamperanno prospetti o menu di gala; altri ancora tesseranno meravigliosi arazzi, mentre la donna che hanno in casa non ha una veste calda da mettere sul ventre gravido.
L’uomo ha dimenticato che, in origine, faceva gesti di lavoro innanzitutto per vivere, e poi per divertirsi. Ciò che dobbiamo fare è ricordarglielo.

(Albert libertad) Schiavitù del lavoro

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