Anteo Zamboni l’anarchico bambino

“Alcuni episodi storici, benché la loro importanza sia stata innegabile, sono poco conosciuti e i loro protagonisti, spesso autori di gesta eroiche, non vengono ricordati dalla Storia con la esse maiuscola. Uno di questi aneddoti coinvolse un ragazzino bolognese, tale Anteo Zamboni e Benito Mussolini.

Anteo era figlio di Mammolo Zamboni, un anarchico convertitosi al Fascismo per ragioni economiche e aveva due fratelli maggiori, Assunto e Lodovico. In famiglia veniva chiamato Il Patata, sembrerebbe per la sua scarsa intelligenza. La sera del 31 ottobre del 1926, nella ricorrenza del quarto anniversario della sua elezione a Capo del Governo, in seguito alla Marcia su Roma, Mussolini si trovava a Bologna per l’inaugurazione dello Stadio

Littoriale; mentre il corteo, che seguiva la macchina scoperta del Duce, raggiungeva l’angolo tra Via Rizzoli e Via dell’Indipendenza, qualcuno strattonò un soldato che faceva parte del cordone di protezione, allungò un braccio verso il corteo e sparò a Mussolini mancandolo.

Il braccio apparteneva al giovane Anteo Zamboni, all’epoca quindicenne, che nell’atto di far fuoco era stato disturbato da un colpo sferratogli da un maresciallo dei carabinieri, tale Vincenzo Acclavi, e così il proiettile perforò il bavero della giacca del Duce e si conficcò nell’imbottitura del sedile dell’auto.

Il giovane fu bloccato da un tenente del 56° Fanteria e finì sotto le mani degli squadristi di Leandro Arpinati e degli arditi milanesi guidati da Albino Volpi, che afferrarono il quindicenne e lo linciarono. Il tenente che bloccò l’attentatore era Carlo Alberto Pasolini, padre di Pier Paolo. Le motivazioni del gesto non furono mai del tutto chiarite e la memoria collettiva ricorda Zamboni come un anarchico anche se, come detto, da tempo lui e la sua famiglia si erano professati simpatizzanti del regime.

Papa Pio XI condannò l’attentato e si disse sollevato del suo fallimento, nessuna parola però gli venne in mente sull’orribile fine fatta da un ragazzino di 15 anni. Furono coinvolti nelle indagini lo stesso Arpinati, anch’egli ex anarchico e amico di Mammolo Zamboni e in seguito anche Roberto Farinacci, il cosiddetto Ras di Cremona, caduto in disgrazia presso il Duce.

 

Questa seconda ipotesi sembrerebbe più fondata della prima, ma l’indagine venne messa a tacere perché la teoria del complotto fascista era assai pericolosa per la stabilità del regime. Dunque tutte le colpe furono addossate alla famiglia, per i suoi trascorsi anarchici e perché si ipotizzò una pressione da parte loro sul giovane Zamboni, che altrimenti non avrebbe avuto le capacità di progettare un gesto simile.

Il padre Mammolo e la zia Virginia Tabarroni furono condannati a 30 anni e i fratelli Lodovico e Assunto a cinque anni di confino, graziati poi da Mussolini stesso.

L’ipotesi era sicuramente più conveniente per il partito fascista.

Dopo la guerra, Mammolo sostenne che il figlio aveva agito di sua spontanea volontà e in piena coscienza. Tempo dopo, lo stesso Mussolini condannò aspramente il linciaggio del giovane e tornò a Bologna solo 10 anni più tardi, nel 1936.

L’episodio è di straordinaria importanza per capire il periodo storico in cui avvenne poiché mise in evidenza i contrasti che c’erano tra le diverse anime del Fascismo, quella cosiddetta intransigente e quella normalizzatrice, che assunsero come perfetto capro espiatorio il giovane bolognese.

Quale che fosse l’origine del gesto, è un fatto che l’attentato ebbe un’incidenza profonda sulla storia del regime infatti, dopo il linciaggio di Zamboni, ci fu un giro di vite da parte del governo fascista con la promulgazione delle Leggi a Difesa dello Stato, che prevedevano lo scioglimento dei partiti politici, la decadenza dei 123 parlamentari aventiniani, l’istituzione del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato e della pena capitale, nonché del confino.

Ogni città d’Italia ha una piazza o una strada dedicata a Giacomo Matteotti, il deputato socialista rapito e trucidato dagli squadristi, simbolo della lotta contro il regime fascista. Se è assolutamente doveroso l’omaggio al parlamentare veneto, sarebbe forse giusto che la Storia ricordasse anche il giovane Zamboni, l’anarchico bambino, protagonista di quella che Togliatti chiamò la “Resistenza silenziosa”. A lui sono dedicate una via e una lapide nella sua città, Bologna, ma probabilmente non bastano a raccontare un ragazzino coinvolto in una cosa più” grande di lui, eroe suo malgrado.

Patrizio Pitzalis

Pubblicato da: Eventi Culturali Magazine

 

Anteo Zamboni l'anarchico bambino
Anteo Zamboni l’anarchico bambino

 

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