Il sacrificio.

gabbia

Ultimamente mi torna in mente una frase che lessi alcuni anni fa, una frase che per qualche ragione a me misteriosa mi è rimasta impressa in maniera particolare: . Non vi è dubbio che letta velocemente ha un suo fascino e spesso, anche se in altri termini, la riscontro ancora oggi in alcuni scritti sulla liberazione animale. Per quanto mi riguarda vi è un’incomprensione di base, o meglio non chiarisce, non spiega, non affronta il fatto che la loro libertà (gli altri/e) è anche la nostra e quindi lottare per la liberazione animale significa lottare per la nostra stessa liberazione. La schiavitù non umana non è un mondo a sé, scollegato da un ideologia repressiva più complessa. Il termine schiavitù non ha correnti “privilegiate” dove soltanto una categoria di animali può farne “uso e consumo”, anche per i termini violenza e dominio sulle categorie, il discorso non cambia, colui o coloro che subiscono sono per definizione indifesi e alla mercé, come rapporto di terrificante dipendenza di “qualcuno” o nel caso degli animali non umani all’assurdo del “qualcosa” (la macchina che trita tutto). Dimenticare o non interrogarsi su aspetti generali di sfruttamento animale può spingerci a cadere nella trappola manipolatoria che il sistema può cambiare o diventare più sostenibile. Dimenticare o non interrogarsi su questi aspetti si arriva infine a ritenere accettabile questo dominio a patto che si possa “migliorare” la schiavitù animale non umana. Viviamo in un sistema piramidale dove la devastazione e lo sfruttamento su tutti gli esseri viventi sono pilastro per la sua stessa sopravvivenza. Vogliamo elemosinare a suoi esecutori un miglioramento delle nostre condizioni? ci fa sentire meglio? pensare che abolire delle leggi certamente violente e infami sugli animali non umani, esse abolite possano risolvere la nostra condanna animale al vivere incatenati? Ci sentiamo più fortunati di altri? bene fatevi un giro più ampio del vostro quartiere e scoprirete sofferenza e squallore, violenza e sopraffazione umana e animale, unite con anelli di ferro e fango per il semplice fatto che siamo tutti animali. L’esistenza stessa del sistema è sintomo di dolore, nessuno può difendersi nel momento in cui spalanca gli occhi al baratro della menzogna che ammanta le nostre convinzioni granitiche di cartapesta. Non siamo la specie eletta, il bene e il male lo lasciamo a coloro che ci hanno privato della libertà, concetti morali di razza superiore. A me resta solo uno sguardo di complicità totale con chi soffre la condizione di schiavo, io stesso schiavo, abbracciato tremante ai miei fratelli e sorelle di qualsiasi forma, colore, dimensione, profumo…

Olmo

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